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di Luca Corsolini

Un caffè e una bicicletta. Ci sono prodotti più italiani di questi? Caffè e bicicletta uniti da un bancone. Può essere nel caso di Lavazza il bancone del mondo intero che ogni anno si beve 27 miliardi di tazzine di caffè, un rito che dal 2011, anno in cui l’azienda torinese è sbarcata a Wimbledon, diventando poi fornitrice ufficiale anche degli altri 3 Slam, da Melbourne a New York, passando per Parigi, ha oggi in straordinari officianti i giocatori e gli appassionati di tennis. Con e per loro Lavazza ha festeggiato il 5 marzo la Giornata Mondiale del Tennis servendo un ace sotto forma di uno studio dell’Institute for Scientific Information on Coffee: una piccola quantità di caffeina migliora le prestazioni del 2% e aumenta i livelli di concentrazione ed energia.

Per Giuseppe Lavazza, vicepresidente del Gruppo, “il caffè e il tennis sono più complementari di quanto si possa immaginare. Molti sono i valoro che ci accomunano, tra cui tradizione, innovazione, ritualità internazionalità e, soprattutto, passione”.

Proprio perché animato da una sana passione, irrobustita da altrettanto solida competenza, e da un gusto per il made in Italy allenato per lavoro, Paolo Manfredi il bancone lo ha invece interpretato in modo diverso e ne ha fatto il centro della mostra The Bycicle Renaissance che fino al 2 aprile è allestita alla Triennale di Milano. Intorno ci sono 15 biciclette gran parte delle quali sono appese al muro, quasi a suggerire che oggi, dopo duecento anni dalla sua comparsa, la bicicletta non solo è in ottima salute ma è addirittura pronta a spiccare nuovi voli e a suggerire, dall’alto, nuove interpretazioni della mobilità di noi umani. Le biciclette, alcune veri e propri gioielli del made in Italy, firmate da artigiani che in effetti sono arti-geni noti in tutto il mondo, da Pegoretti a Bertoletti, passando anche per marchi noti come Taurus che nel 2018 festeggia 110 anni, o inattesi come l’Infinity di Eboli, sono raggruppate in tre aree.

Il calore presenta la bicicletta come oggetto meccanico e materia che prende forma grazie al lavoro degli artigiani. Lavoro che pesca nel passato ma è già nel futuro, e così ci sono richiamo al titanio e al carbonio. Il territorio ci fa guardare alla biciletta come strumento per la mobilità urbana ma anche per la fruizione dolce del territorio e del viaggio e infatti si parla qui di sharing, con la Zehus ibrida, di viaggio e di tradizione. Infine, il futuro, il mondo già presente in cui la bicicletta è strumento estremo di performance e tecnologia: se non i viene in mente al volo il MyCycling di Technogym, alla Triennale ve lo trovato davanti agli occhi associato al concetto di benessere.

Ma si diceva del cuore della mostra, il colpo di genio di Manfredi: un bancone, un tavolo di lavoro di una qualsiasi officina, dunque di tutte, dove sono disposti quasi casualmente, come se aspettassero il tocco dell’artigiano di turno, gli accessori e i componenti legati all’economia e all’immaginario della bicicletta. Manubri, cambi, cerchioni, ma anche maglie (e Manfredi ha voluto quella dell’Eroica non a caso), caschi, occhiali, più di 60 oggetti a rappresentare 3 mila imprese italiane, non grandi aziende, lo dice il fatto che parliamo di 7 mila addetti, ma davvero un distretto di eccellenza spalmato su tutto il Paese a suggerire un modio di vivere la città che è già stato tipicamente italiano e potrebbe tornare a esserlo.

Dunque, bicicletta in salute, e sinonimo di salute, interprete perfetta dell’equazione movimento=salute, pronta a essere motore, e si parlerà presto di e-bike, della Quarta Rivoluzione Industriale.

Intanto, The Bicycle Renaissance, primo appuntamento dell’anno dell’Innovation and Craf Society, il club ideato da Banca Ifis, dopo l’esordio alla Triennale andrà in Israele per la partenza del Giro d’Italia, ed è pronta per altre repliche. Proprio perché la bicicletta è come il caffè: “E’ il prodotto italiano che meglio incarna – spiega Manfredi – la saldatura tra tecnologia, design e stili di vita. Quello che prima era standardizzato e seriale, oggi esplode in una enorme varietà di declinazioni: bicicletta da città, da corsa, da trasporto, di design, in carbonio, fino alla possibilità di avere una bicicletta realizzata interamente su misura che calza come un abito di sartoria”.

Viene in mente un ricordo collettivo, che possiamo anche adattare ai nostri tempi: c’è un popolo intero al comando, la sua maglia è biancoazzurra, e …siamo noi, noi italiani che possiamo continuare a dichiarare la nostra passione per la bicicletta. Senza più paura di passare per persone legate al passato, anzi con la certezza di dichiarare su due ruote la nostra voglia di pedalare nel futuro.

Luca Corsolini - Symbola

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