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Redazione

Se si potesse tracciare un modello agricolo ideale forse bisognerebbe rivolgersi proprio al Trentino-Alto Adige. In questa piccola terra di incommensurabile bellezza solcata da quella vena di cristallo fuso che è l’Adige, arteria vitale per le coltivazioni, si è stabilita una sorta di circolarità delle produzioni che è diventata circolarità economica. Il sistema cooperativo è il centro motore: latterie cooperative che alimentano le cooperative orto-frutticole che a loro volta alimentano il sistema bancario di prossimità che a sua volta consente investimenti in vigna che hanno portato le bottiglie dei due territori, seppure uniti da quel trattino, a sfidare il mondo con piccoli numeri di produzione, ma di eccelsa qualità. Si può trovare in questo sistema di aggregazione una prosecuzione di quelle funzioni sociali che svolsero le abbazie e al pari le comunità si sono strutturate in coesione d’intenti che è diventata poi specializzazione colturale.

A veder bene il Trentino-Alto Adige ha in rapporto alla superfice e anche alla consistenza demografica – stiamo parlando di circa un milione di abitanti di cui oltre due terzi vivono i piccoli comuni che stanno al di sotto delle tremila anime – un’alta densità di prodotti a marchio sia DOP che IGP, ma conta su una miriade di specialità gastronomiche e agricole che, pur non avendo certificazione, connotano le tradizioni agroalimentari delle valli. Basti pensare al graukase della valle Aurina (un formaggio non formaggio, visto che non prevede caglio, che però la dice lunga sull’abilità dei malgari) o al wrustel Meraner che è addirittura diventato una categoria ben definita di queste “salsicce” nordico-germaniche. O ancora alla carne fumada di Sirior, ai rufioi (i tortelli ladini), al laberwust vanto della Pusteria che fa il paio con la luganega vanto della val d’Adige, o ai biscotti antichissimi come i Basin de Trent (nel nome l’origine), ai brezel, ai krapfen, all’infinita teoria dei pani dallo shuttelbrott, al pan di segale fino al pane alla pera.

Ovunque si vada si trova in queste valli un prodotto da forno che si differenzia e dove entrano in gioco farine antichissime come quella di segale, di grano saraceno, di granturco di storo. E poi ci sono loro: i canederli! Difficile stabilire se siano nati in areale altoatesino o in quello trentino, probabilmente la loro origine è ladina. Una cosa è certa: sono il piatto di queste montagne per eccellenza. Non solo perché indicano una perizia tesa alla parsimonia – da queste parti il grano è un lusso e si può dire che i canederli siano i parenti dello shuttelbrott come idea: risparmiare farina e farla durare a lungo – ma perché vengono declinati in cento diversi modi. Una volta fatte le “polpette” di pane raffermo, il resto è abilità gastronomica e dunque si possono fare in brodo, condire con le verze stufate e lo speck, affidarsi a uno dei prodotti più preziosi dal punto di vista culinario di questa regione: il burro di malga. Ma a seconda delle stagioni e dei luoghi si possono arricchire con erbe aromatiche, con fiori edibili, con formaggi dall’intonazione gustativa totalmente differente. Al punto che si può ben affermare che i canederli sono dei “gustemi” per come li avrebbe intesi Claude Levy Strauss, cioè una base linguistica di medesimo fonema che però assume significati diversi (di gusto) con le variazioni dialettali. Questa variabilità geografica è comunque un attributo peculiare delle produzioni agroalimentari del Trentino-Alto Adige che si trovano raggruppate sotto lo stesso marchio o il medesimo nome, ma che mutano di valle in valle. La maggior quota di “personalizzazione” spetta senza dubbio all’arte casearia che si avvantaggia di una zootecnia molto responsabile nella conduzione e della qualità e biodiversità dei prati-pascolo di queste montagne. Una prova sta nel fatto che qui, per la prima volta, si è cominciato a parlare di latte-fieno, cioè del latte di vacche alimentate solo da fieno. E certo ad esempio la produzione di yogurt tanto del Trentino quanto dell’Alto Adige ha assunto vette qualitative assolute.

Così il primo prodotto DOP che viene in mente è il Trentingrana. Si tratta del Grana padano che viene realizzato con il latte delle valli trentine e che si potrebbe dire procede per cru. Detto che questa regione partecipa della DOP tanto dell’Asiago quanto del Provolone Valpadana, ci sono altri formaggi che marcano la territorialità. Sicuramente il Puzzone di Moena DOP che fa vanto nella sua denominazione del carattere forte all’olfatto. In realtà è sì un formaggio ben marcato, ma non così penetrante come si potrebbe pensare. Altre produzioni casearie di assoluto pregio sono lo Stelvio Dop o Stilfser che viene fatto dal latte di alcuni comuni del bolzanino, molti dei quali ricadono all’interno del parco nazionale dello Stelvio e la Spressa delle Giudicarie. In particolare quest’ultima DOP – si fa appunto nelle terre comprese tra il Garda e il Ledro – viene specificato nel disciplinare anche la razza delle bovine: Rendena innanzitutto ed eventualmente di razza Bruna, Grigio Alpina, Frisona e Pezzata Rossa. Questo per connotare specificamente gli allevamenti.

La dispensa del Trentino-Alto Adige si arricchisce delle mele dell’Alto Adige con infinite declinazioni e quelle della val di Non entrambe a marchio DOP e fonte di economia nelle zone rurali più interne delle valli. Dai frutteti attorno all’Adige nasce anche un’altra prelibatezza: la prugna nera del Trentino detta susina di Doro, anch’essa una DOP. Detto che il Trentino ha soprattutto nella zona di Riva una consistente produzione di olio extravergine DOP del Garda il lago, ci porta a considerare due produzioni molto peculiari che vengono dall’acquacoltura: il salmerino e la trota Igp. L’Alto Adige risponde con il suo speck IGP (si fa anche nelle valli trentine)  detto che questa regione rientra nell’areale della mortadella IGP basta aggiungere una lettera e toglierne un’altra per avere la Mortandela della Val di Non. A dimostrazione che del maiale davvero non si butta nulla, ma che il cibo è vernacolo.

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