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Redazione

Un viaggio nel Veneto agricolo dovrebbe cominciare con un unicum: le castraure. Dove trovarle? In un meraviglioso orto in mezzo al mare: l’Isola di Sant’Erasmo, verdissima, contornata dalle mura e dai cipressi. Lì si coltiva ancora come ai tempi della Serenissima e si ricavano primizie come queste cime di carciofo appena spuntate: buonissime! Ma non finisce qui l’attrattiva rurale di Venezia. Esiste un’altra terra emersa in mezzo alla laguna dove svetta la chiesa di Sant’Euroisa: è l’isola delle vignole, dove in antico si coltivavano le uve, tra cui la pregiatissima dorona che oggi è tornata protagonista nell’altra isola-orto della laguna, Mazzorbo. Il Veneto agricolo si specchia nella magnificenza di Venezia perché vigna e orto sono oggi il vanto della Regione che si raccoglie sotto il Leone di San Marco. Nonostante si tenda a rappresentare il Veneto come culla dell’industria del Nord-est, questa terra non ha affatto rinunciato alla sua vocazione: oggi il 7,3 % delle aziende che coltivano sono comprese tra Piave e Po e le aree coltivate si avvicinano a 780 mila ettari con una forte specializzazione sia sui seminativi che sulle orticole (uno dei vanti della regione assieme ad una floridissima vitivinicoltura). A esprimere le peculiarità di questo territorio ci pensano coltivazioni come il mais quarantino o il riso vialone nano che ha sull’Isola della Scala la sua terra promessa, ma che si allunga anche nel riso del Delta del Po (in condominio con l’Emilia Romagna).

Il catalogo delle coltivazioni venete a marchio è tutto scandito da precisi riferimenti geografici che esprimono la specializzazione colturale di queste terre. Cominciando con il croccante, profumato, benefico mondo del radicchio, si parte da Castelfranco con il suo variegato, ci si allunga fino a Chioggia dove il salmastro contribuisce a rendere unico questo radicchio, poi ecco il rosso di Treviso che profuma di rosa ed è il protagonista delle grigliate; infine, il radicchio di Verona, rosso come il cuore di Giulietta che forse lo offerse al suo Romeo come segno d’amore. Scherzi a parte, i radicchi veneti sono dei must in cucina, si prestano a tutte le preparazioni e testimoniano una sapienza colturale profonda. Sempre spigolando tra gli orti veneti si apre un altro grande capitolo: quello degli asparagi. C’è il bianco Dop di Bassano del Grappa. Provarlo in cucina è un’emozione data la sua estrema carnosità e versatilità, ma da questa consolidata abilità di coltivazione in quella che si potrebbe definire la capitale degli alambicchi (la grappa è un altro vanto del Veneto che si mette a tavola) nascono altre coltivazioni simili. Certo che l’asparago bianco è un marcatore del legame inscindibile tra specialità colturale e caratteristiche del terreno. Il successo del prodotto bassanese deriva dalla natura dei terreni lungo il Brenta, dal particolare clima e poi dalla capacità del coltivatore di regimare la crescita della pianta. Abilità che si riscontrano anche a Cimadolmo, un piccolo centro del trevigiano dove prospera un altro ottimo asparago bianco che ha un “cugino” a Badoere, una frazione del comune di Morgano, dove di fatto l’asparago è una sorta di monocoltura. Ma il Veneto nell’orto ha altre prelibatezze, come l’insalata Luisa diffusissima lungo le rive del Po, nella provincia di Rovigo e in parte nel padovano dove molti piccoli centri rurali ne hanno fatto produzione identitaria. Un discorso a parte merita il fagiolo di Lamon che è un “frutto” dell’altopiano bellunese. Se si dice ciliegia viene in mente Marostica, ma viene in mente una rappresentazione unica: la partita a scacchi in una delle piazze più belle e caratteristiche d’Italia di questo comune medievale vicentino che respira civiltà rurale in ogni dove. A testimoniare la biodiversità diffusa in Veneto e la ricchezza dei boschi di questa regione – coperta per circa due terzi della sua superficie da alberi di alto – ci sono le castagne. La più rinomata è il Marrone di San Zeno, ma marroni di gran pregio sono quelli di Combai (dove si fa una festa partecipatissima) e quelli del Monfenera, una valle che si snoda tra Grappa e Montello e orna di un’eccezionale bellezza naturale la parte alta della provincia di Treviso. Aulente è senza dubbio il vanto di tutto il polesine: l’aglio bianco che si fregia della Dop. La caratteristica di questo aglio è di essere molto compatto e con un’inflessione quasi dolce, poiché i terreni alluvionali dove viene coltivato ne marcano le espressioni gusto-olfattive.

Un frutto ricercatissimo delle campagne veronesi è la pesca, limitata solo ad alcuni piccoli comuni della fascia sud orientale della provincia a dire che si tratta di una coltivazione di specialità. Pregiatissimi sono anche gli oli gardesani nel versante veronese che si allungano in parte in Valpoicella e gli extravergine delle basse colline venete che prendono di fatto tutta la fascia che da Soave corre fino a Venezia. Se ne ha dimostrazione gastronomica nel fatto che la cucina veneta è molto permeata dall’extravergine e il burro non è così predominante, anche perché il latte serve per produrre alcuni dei formaggi più buoni d’Italia: Monte Veronese, il Piave, la Casatella Trevigiana e sua maestà l’Asiago che è il vanto dell’Altopiano con le sue variazioni di stagionatura. Il Veneto partecipa anche di alcune delle produzioni casearie peculiari del settentrione: il Taleggio, il Provolone Valpadana e in condominio con il Friuli Venezia Giulia, magari da gustare con il miele delle Dolomiti bellunesi o da portare in tavola in un classico antipasto all’italiana con l’ottimo prosciutto dei Colli Berici o con la Soppressa vicentina da accompagnare rigorosamente con la polenta abbrustolita, magari ottenuta da farina di mais ottofile di Marano. E siccome siamo partiti dal mare per questo viaggio nel meglio del Veneto in dispensa, al mare torniamo, in un luogo unico: la sacca degli Scardovari, nel comune di Porto Tolle, lì dove ci sono i “filari” delle cozze più polpose del Mediterraneo.

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