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L’architettura italiana, nonostante tutti i peana catastrofisti, resta viva e molteplice sia in Italia sia fuori, partecipando attivamente al dibattito disciplinare globale. La sostenibilità ambientale e il ruolo sociale dell’architettura restano i temi principali con cui si confronta il maggior numero di professionisti, pur nella diversità delle rispettive inclinazioni. Altro ambito in cui l’architettura italiana si sta misurando è quello inerente la ricostruzione post-terremoto, a cui è in parte dedicato anche il Padiglione Italia alla Biennale di architettura di Venezia di quest’anno.

 

L’architettura italiana riflette da sempre la condizione di policentrismo del Paese delle cento città. Ancora oggi è viva la tradizionale incomunicabilità fra Roma e Milano, nonostante l’alta velocità abbia ridisegnato le dinamiche lavorative soprattutto a favore del triangolo territoriale Milano-Bologna-Triveneto, vale a dire quello che guarda caso coincide con la ripresa economica più solida e alta in percentuale. La poliedricità dell’architettura italiana è insomma una costante nel tempo e la sua benedizione, in fondo – si pensi per converso alla monotonia di tanti progetti norvegesi o al minimalismo spagnolo.

In generale l’architettura italiana si sta misurando, sia all’interno sia fuori dai propri confini nazionali, con le tematiche imposte dallo zeitgeist, vale a dire la sostenibilità e la dimensione sociale. Temi globali che si intersecano con un campo più specifico, legato alla ricostruzione post terremoto che, purtroppo, è ancora di là dal cominciare in diverse aree del cratere, specie nelle Marche.

Nell’ultimo anno, nonostante il clima denigratorio verso l’architettura contemporanea rimanga alto e resti trasversale anche politicamente, non mancano le buone notizie. Fra le migliori, l’ingresso fra i finalisti del S.Award 2018 del gruppo romano stARTT (insieme con Matteo Zamagni, Sara Angelini, Rita Dall’Ara), unici italiani –purtroppo - presenti in questo importante premio internazionale sulla sostenibilità, conferito quest’anno a Venezia: la loro risistemazione della piazza del Pavaglione a Lugo di Romagna è stata pensata insieme con la comunità locale al fine di una massima flessibilità d’uso dello spazio pubblico, sia per le attività tradizionali di svago e commercio, sia per lo svolgersi di eventi concordati con la popolazione. Tra le riqualificazioni di spazi pubblici storici sono da segnalare, inoltre, il progetto di risistemazione del ferrarese Palazzo dei Diamanti dei Labics, il delicato intervento di Ipostudio nell’Ospedale degli Innocenti fiorentino – che tanto è dispiaciuto a Tomaso Montanari - e la nuova piazza del vento di OBR a Genova, portatrice di un’allegria degna di Gio Ponti, mentre nell’area occupata dalle ex caserme Sani, hanno vinto a sorpresa i Dogma, studio con sede a Bruxelles, ma diretto da Pier Vittorio Aureli e Martino Tattara che potranno finalmente realizzare un’opera in patria.

Comparabili per discrezione e nessuna concessione al pittoresco del vernacolare montano, sono i due rifugi alpini realizzati con l’aiuto di elicotteri dallo studio trevigiano Demogo ad Auronzo di Cadore e quello bolzanino MoDus a Lappago. Ci sarebbero poi la nuova sede della Lavazza a Torino di Cino Zucchi, l’ultima grande impresa a essere rimasta in città (Fiat, Exor e Ferrero hanno delocalizzato da tempo, com’è noto) e molti altri ancora.

In ogni caso c’è un punto fermo in questo caleidoscopico gruppo di progetti realizzati e no: ognuno può perseguire il proprio linguaggio pur ottemperando alle nuove esigenze di risparmio energetico e sostenibilità ambientale, anche laddove non fosse del tutto evidente a prima vista come nella scuola in terra cruda “Inside Out” in Ghana di Andrea Tabocchini e Francesca Vittorini (giudicato tra i dieci migliori progetti scolastici dell’anno da Designboom) o nello H2OS Eco-village a Keur Bakar Diahité, Senegal, dei TAMassociati. Certo, la popolarità del tema ingenera spesso fenomeni di greenwashing, vale a dire trattamenti di facciata che al contempo nascondono edifici tradizionali e svelano come per molti la sostenibilità sia solo un mito d’oggi.

Infine, un terzo campo in cui l’architettura italiana si sta misurando in questo ultimo anno è legato alla ricostruzione post terremoto. Dopo l’asilo di Guastalla a firma di Mario Cucinella, inaugurato nel 2012 in seguito al terremoto che colpì l’Emilia Romagna, altri grandi architetti italiani si sono trovati a progettare luoghi simbolo in altre aree colpite dal sisma.  La grande novità è l’ingresso dei magistrati fra i critici di architettura: le inchieste della procura di Macerata sul camping di Ussita (che ha portato alle dimissioni del sindaco Rinaldi) e, in seguito, quelle della procura di Spoleto (che ha emesso due avvisi di garanzia al sindaco Alemanno di Norcia per due edifici – uno nella frazione di Ancarano donato dalla Caritas, l’altro il più celebre centro polivalente di Stefano Boeri Architetti) hanno argomentazioni da critici, non da giudici. Si suppone infatti che i camping e gli edifici in legno e non, costruiti in fretta e furia, non siano reversibili e per questo costituiscano gravi infrazioni alle leggi urbanistiche e paesaggistiche, mentre tutto intorno è inerzia, desolazione e spopolamento.

Al di là delle polemiche, il problema principale è stato quello di un andamento irrazionale della ricostruzione, cioè in ordine sparso, dove solo le iniziative portate avanti da soggetti privati sono andate a buon fine rapidamente. Tra queste, l’Area food di Amatrice e il centro polivalente di Norcia progettati da Stefano Boeri architetti, la struttura d’accoglienza di Accumuli progettata da Lorena Alessio in collaborazione con il Kobayashi Lab di Tokyo, il Politeama di Tolentino di Michele De Lucchi, sono gli unici edifici, tutti polivalenti. Si aggiungono la scuola di Sarnano dell’architetto Ermanno Dell’Agnolo della società di ingegneria Set (Servizi edilizia territorio), e pochi altri edifici frutto di donazioni o committenze private ma a uso pubblico, e inaugurati in tempi ragionevoli. La loro funzione si è da subito caricata di nuove responsabilità, diventando così dei centri civici di fatto in attesa che gli edifici istituzionali vengano ripristinati. Tutt’intorno si continua a procedere in ordine sparso, purtroppo. Il superamento della logica conservatrice del “dov’era, com’era” su modello della ricostruzione friulana di Venzone, anche grazie al lavoro della Fondazione Symbola legge sui piccoli comuni e il tentativo di costruire una filiera nazionale dell’edilizia in legno, sono però segnali positivi che andrebbero supportati e applicati.

Continua a crescere la presenza di progetti architettonici italiani all’estero, grazie a professionisti che lavorano ai massimi livelli, sia all’interno di grandi studi internazionali (vedi Ippolito Pestellini Laparelli - nuovo partner di OMA, responsabile dell’operazione Manifesta a Palermo - o Federico Pompignoli, che ha seguito il cantiere milanese della Fondazione Prada); sia in proprio, come i parigini Lan di Umberto Napolitano, Scape di Ludovica Di Falco, gli stessi Dogma a Bruxelles o ancora Barozzi Veiga a Barcellona e Paritzki&Liani a Tel Aviv. E grazie anche a studi che hanno sede nel nostro Paese, impegnati nella realizzazione di progetti fuori confine, come lo studio Piuarch, che ha completato di recente l’elegante sede di IDF Habitat a Champigny-sur-Marne con tre facciate che fanno da schermo intelligente alla luce esterna.

La curatela del padiglione italiano alla Biennale di quest’anno affidata a Mario Cucinella capita in un buon momento non tanto perché “Arcipelago Italia” (questo il titolo scelto) punti i riflettori ancora sulle aree del terremoto, ma perché allarga ulteriormente il problema a tutti i territori interni che anche nella migliore delle ipotesi dovranno fronteggiare gravi problemi di spopolamento e tagli dei servizi. L’area appenninica, più estesa di un medio paese europeo come l’Austria o il Belgio, ha bisogno dunque di idee e Cucinella insieme con il suo articolato gruppo di lavoro propone l’architettura come strumento di rilancio, chiamando indirettamente in causa anche l’esigenza di pianificazione, e sparigliando la tradizionale divisione nord-sud secondo un nuovo criterio che può certamente essere più stimolante.

Soprattutto, si spera che il padiglione possa essere l’occasione per un confronto non solo fra architetti, ma un luogo di riflessione a tutto campo fra innovazione, urbanistica, politica, giornalismo e architettura in cui trovare la prospettiva di un quadro comune d’azione. Sarebbe il modo migliore per proseguire l’opera di due giganti dell’architettura italiana del ‘900, nati a pochi mesi di distanza cento anni or sono: Giancarlo De Carlo, il cui ricordo nel padiglione apre ufficialmente le celebrazioni, e Bruno Zevi, appena omaggiato di una grande mostra al Museo MAXXI di Roma, che in Architectura in nuce indicò la via da percorrere: «l’architettura diviene pretesto e profezia, rappresentazione e stimolo di una società coraggiosa, in cui ogni urgenza culturale si fa intervento e vettore di rinnovi istituzionali».

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