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Fondazione Symbola raccoglie un #Diariodibordo con storie da tutta Italia
La necessità di un nuovo rapporto tra business e attenzione al pianeta e il 70 per cento degli italiani sarebbe favorevole a ribaltare le priorità «Le trasformazioni produttive potranno essere antidoto alla disoccupazione»

Business Fondazione Symbola in collaborazione con il Sacro Convento di Assisi ha raggruppato e raccontato sul sito symbola.net le tante iniziative prese dalle aziende italiane negli ultimi due mesi nell'ambito della lotta al Covid-19. E leggerle una dietro l'altra è sicuramente istruttivo: documenta una sforzo industriale «in corsa» per produrre quei beni primari, come mascherine e ventilatori, che purtroppo non avevamo per effetto di scelte fatte in passato (far produrre le mascherine solo in Asia) rivelatesi tragicamente miopi.
È interessante come questo movimento abbia riguardato sia grandissime aziende (Fca, Armani, Lamborghini, Ima) sia il tessuto delle piccole e medie imprese organizzato nei distretti. Spiega Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola: «La velocità della reazione delle imprese italiane alle necessità del sistema sanitario impegnato nell'emergenza Coronavirus dimostra ancora una volta come la flessibilità sia un nostro fattore di successo». Spicca nel panorama delle reazioni la presenza di diverse realtà dislocate a Mirandola, un paese agricolo della bassa modenese divenuto nel tempo un distretto biomedicale di valore internazionale, che in queste settimane di passione ha saputo fornire il casco gonfiabile indispensabile per la ventilazione, la «valvola geniale» e mobilitare il suo Tecnopolo nella certificazione di qualità dei dispositivi di protezione individuali.
Di Mirandola sentiremo parlare a lungo vuoi perché ha sede nel distretto l'azienda del nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, vuoi per la capacità che quell'ecosistema ha sempre avuto di attrarre capitali americani ed europei. E quindi di mettere in relazione la dimensione locale con quella globale. La riconversione rapida di produzioni tessili e meccaniche di cui abbiamo parlato, dovuta in parte alla flessibilità delle Pmi e in parte a scelte operate da grandi gruppi, apre la strada a riflessioni - e a qualche sogno - di medio periodo. Avremo bisogno di far rientrare in Italia alcune produzioni, oltre le mascherine i ventilatori, e le esperienze raccontate da Symbola costituiscono un presidio indispensabile per poter poi pensare al back reshoring con maggior padronanza della materia. «Essere buone - argomenta Realacci - alle imprese italiane conviene. Ci sarà bisogno di far fronte a problemi di disoccupazione nei prossimi mesi e queste riconversioni produttive sono una prima risposta concreta per mitigare gli effetti sociali dell'epidemia. In più parliamo di segmenti manifatturieri che esaltano il carattere umanistico della nostra economia».

Possiamo rallentare
L'Italia che ha conosciuto i danni e i lutti dell'epidemia prima degli altri Paesi occidentali può addirittura pensare, proprio in virtù di quella sapienza antica di cui parla Realacci, di dare un contributo originale alla riflessione sul futuro del capitalismo? A leggere quanto ha dichiarato nei giorni più caldi Giorgio Armani viene da rispondere sì. Il grande 'sarto e imprenditore piacentino ha sostenuto che «dovremmo rallentare il passo, ho sempre pensato che questo bisogno eccessivo di mostrare sempre più collezioni e capsule speciali rispondesse a una forte esigenza del sistema più che a una reale richiesta della clientela». Troppe sfilate-spettacolo, troppa merce nei negozi. 11 nuovo mantra deve essere invece secondo Armani: «Fare di più e meglio, con meno». La provocazione di Armani resterà isolata o nei prossimi mesi il business maturerà percorsi inediti?
La necessità di un nuovo rapporto tra capitalismo ed etica era un tema che si era imposto pre-virus. Ad agosto era arrivato il manifesto ambientalista delle B Corporation americane e successivamente il tema della lotta al chinate change aveva generato una riflessione profonda capace di influenzare anche appuntamenti-chiave delle élite economiche come il summit di Davos. L'emergenza sanitaria è arrivata dopo ma finirà - lo sperano a Symbola - per spingere nella medesima direzione. Il mondo del business deve elaborare nuove risposte ai problemi che attraversa il pianeta: ci sarà sicuramente la dimensione quantitativa (il Pil necessario per evitare la disoccupazione di massa), un posto lo occuperà la necessità di un nuovo patto tra pubblico e privato vista la robustissima iniezione di denaro statale, alcuni settori - segnatamente sanità e scuola - non potranno essere più bistrattati come era successo in passato e, infine, ci sarà da riprendere in mano il dossier del green new deal con tutte le scelte (non facili) che comporta. A dimostrazione che tutto-si-tiene l'iniziativa della Fondazione Symbola da cui siamo partiti è strettamente connessa al lancio del Manifesto di Assisi sottoscritto da oltre 3.300 tra esponenti dell'economia, della scienza e della cultura. E che si apre così: «Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società a misura d'uomo e per questo più capace di futuro». Aggiunge Realacci con un calembour: «Non c`è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quello che di giusto c'è in Italia». Intanto un recente sondaggio di LegaCoop e Swg ci dice che il 7096 degli italiani vedrebbe con favore l'adozione di un modello economico più etico, ma purtroppo è scettico sulla concreta realizzabilità. Troveremo imprenditori così motivati e persuasivi da far cambiar opinione ai loro connazionali? I firmatari del Manifesto di Assisi, tra cui Vincenzo Boccia e Carlo Bonomi, sono convinti di sì.

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