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“Non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia”. Parlare con Ermete Realacci, Presidente di Symbola, la Fondazione per le qualità italiane, significa guardare con occhi attenti la fotografia del Paese che c’è e scoprire, non senza stupore e meraviglia, che contro tutti i luoghi comuni e pregiudizi che spesso autoalimentiamo, in fondo non siamo messi così male.

Anzi. L’Italia dei primati racconta che oggi è seconda solo dopo la Cina per quota di mercato nella moda e nel legno-arredo e che è tra i primi cinque Paesi al mondo con un surplus manifatturiero che supera i 100 miliardi di dollari (109,5 miliardi di euro). Siamo il Paese europeo più sostenibile in agricoltura e siamo ai vertici mondiali per percentuali di aree agricole coltivate a biologico. Nonostante alcune gravi criticità e ritardi legislativi, siamo leader nell’economia circolare con la più alta percentuale di riciclo in Europa (79%) sulla totalità dei rifiuti. Nella nautica da diporto non abbiamo rivali e siamo leader mondiali per saldo commerciale con poco meno di due miliardi di dollari (1,9). In tutti i settori produttivi le scelte fatte dal nostro sistema per l’ambiente rafforzano l’economia e la società. Questi sono solo alcuni scatti di “L’Italia in 10 selfie 2020”, il rapporto annuale realizzato proprio da Fondazione Symbola, in collaborazione con Unioncamere e Assocamerestero. “Siamo noi i primi a non riconoscerci come eccellenza. Una ricerca ha calcolato la differenza tra la percezione che gli altri hanno di un paese visto da fuori e quella che ne hanno i suoi abitanti dall’interno. C’è solo un paese che si vede peggio di come lo vedono gli altri: l’Italia. Insomma, spesso siamo i più bravi ma non ci crediamo”.

Eppure il futuro, se lo guardiamo bene, potrebbe parlare la nostra lingua. Per Realacci, il condizionale non esiste: “Se guardiamo con fiducia a quello che sta per accadere, noi ci siamo perché abbiamo un sacco di cose da dire. L’Italia dà il meglio di sé quando incrocia i suoi cromosomi antichi, la sua identità, con le sfide che ci aspettano. Le radici del futuro abitano nel nostro Paese, radici che descrivono un modo di produrre attento alla qualità, all’ambiente e alle relazioni umane”. Viene in mente Gustav Mahler quando disse che la "tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”, tanto per citare una frase cara ad Ermete.

E poi c’è il cammino verso la green economy e l’economia circolare. Un cammino costellato negli anni da molte discussioni, prese di posizione e conflitti dove persino il rispetto per l’ambiente e l’occupazione sembravano essere in contraddizione. “È vero semmai il contrario. Negli ultimi cinque anni più di 430 mila imprese, per superare la crisi, hanno investito nella green economy. Nel solo 2019 abbiamo avuto il record di investimenti con un più 21%. L’occupazione “verde” nel 2018 è cresciuta di oltre 100 mila unità, superando i 3 milioni di occupati, il 13,5 per cento della forza lavoro. E non solo. L’Italia è prima in Europa per il riciclo dei rifiuti. Siamo la super potenza della circolarità e questo risultato è figlio della nostra maniera di stare al mondo. Siamo storicamente poveri di materie prima e di energia ma abbiamo saputo costruire col tempo filiere sempre più efficienti, produttive e di qualità perché la nostra intelligenza imprenditoriale e creativa rappresenta la più importante fonte intangibile e possibile di economia circolare e va a braccetto col modo tutto italiano di fare economia che tiene insieme coesione sociale, nuove tecnologie e bellezza, mercati globali e legami coi territori e le comunità, flessibilità produttiva e competitività”.

Chi scrive condivide con Realacci la “militanza” nel comitato scientifico di Symbola, un luogo di pensiero capace come pochi di agire, conoscere e interpretare il presente. Ricordo quando a Treia la scorsa estate durante l’appuntamento annuale con il Festival della Soft Economy ci raccomandò: “Smettiamo di parlare di cambiamenti climatici. Dobbiamo parlare ormai solo di crisi. Solo così riusciremo ad affrontarla e a superarla”. In altre parole, occorre prima di tutto trovare una dimensione autentica e reale di sviluppo legato al paradigma economico della sostenibilità e immaginare scenari tutti da costruire al posto di apocalissi da subire. Niente paura, insomma, ma soltanto desiderio di cambiare, facendo le cose giuste e usando le parole corrette. Per questo Symbola insieme ai Padri Francescani del Sacro Convento ha proposto il “Manifesto di Assisi” per una economia a misura d’uomo e contro la crisi climatica. “Affrontare con coraggio questo tema è anche un’occasione straordinaria per rendere la nostra economia e la nostra società più competitiva. Nel corso degli anni si è iniziato a vedere che le politiche a favore dell’ambiente non erano più politiche contro l’economia. Basta guardare a cosa succede negli Stati Uniti di Trump. In campagna elettorale ha appoggiato l’industria del carbone ma da quando è al governo hanno chiuso 50 vecchie centrali e tutti i nuovi impianti sono da fonti rinnovabili. Il lavoro che abbiamo fatto con Symbola è stato soprattutto quello di verificare i numeri reali della nostra economia, dei distretti, delle filiere, delle reti, dei territori, delle competenze e del saper fare. E abbiamo scoperto che erano numeri molto diversi da quelli spacciati per veri dalle agenzie di rating”.

Piccolo è bello d’altronde è sempre stato il fattore competitivo del capitalismo all’italiana: “A certe condizioni. Se tu sposti in alto la catena del valore e punti sulla bellezza, la sostenibilità e la qualità rendi più forte l’economia. Due esempi su tutti, il vino e le scarpe. Venivamo da settori in profonda crisi con i disastri procurati dal metanolo per il vino e dalla crisi economica globale per le scarpe. Adesso produciamo meno della metà di prima, ma il valore nell’export è più che raddoppiato. Questa trasformazione non è figlia della politica ma del nostro modo di essere con un sistema di piccole e medie imprese, flessibile, capace di fare rete e di cogliere e guidare molto più velocemente le esigenze di cambiamento. Quando l’Italia fa l’Italia vince. Sempre”.

L’adesione al Manifesto di Assisi è stata impressionante per qualità e quantità dei firmatari: “Alla sua presentazione hanno partecipato più di 1000 persone impegnate nei campi più diversi dell’economia e della società e continuano ad aumentare i firmatari che sono ad oggi circa 3000. Pensiamo che questo sia dovuto ai contenuti del Manifesto, originali, diretti e concreti anche per il panorama internazionale. Non a caso l’opinione pubblica e i media hanno contrapposto Assisi a Davos. Ma molto importante è il fascino di un’alleanza tra soggetti diversi accomunati da una visione: la convinzione che la sfida della crisi climatica può migliorare la nostra economia e la nostra società, ma può essere portata avanti solo insieme. Il Manifesto ha proposto una ‘foto di gruppo’ capace di mostrare l’idea concreta di una possibile sfida comune tutta da vincere.  Adesso dobbiamo solo lavorare. Mi vengono spesso alla mente le parole di Luigi Einaudi: ‘Chi cerca rimedi economici a problemi economici è su una falsa strada; che non può che condurre al precipizio. Il problema economico è l'aspetto e la conseguenza di un più ampio problema spirituale e morale’”.

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