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di Fondazione Symbola e MASAF

Come per altri territori del nostro Paese, anche l’Emilia-Romagna offre panorami così diversi che osservandoli non sembra possibile la loro appartenenza alla stessa regione. Dai silenzi e dalla spiritualità delle Foreste Casentinesi alle affollate spiagge romagnole, passando per i paesaggi rurali della Pianura Padana, l’Emilia-Romagna alterna i boschi dell’Appennino Tosco-Emiliano alle acque salmastre del Delta del Po; città d’arte come Ferrara, Modena e Ravenna a splendidi scenari naturali come la cascata dell’Acquacheta, resa celebre dai versi di Dante.

Foreste e Boschi

L’Emilia-Romagna ha una flora boschiva particolarmente ricca che varia molto a seconda delle diverse aree morfologiche. Sono soltanto 6.388, su un totale di 22.444, i chilometri quadrati occupati da foreste e boschi. Sulle colline appena fuori Imola, presso la riva destra del torrente Correcchio, si trovano i 16 ettari del Bosco della Frattona, nell’omonima riserva naturale, che rappresentano l’ultimo residuo degli antichi querceti che crescevano su queste colline prima che venissero disboscati per far spazio alle coltivazioni. La vegetazione del Bosco varia a seconda delle sue aree interne. In quelle più soleggiate e calde, infatti, l’albero principale è la roverella, seguita da qualche esemplare di acero e orniello, mentre nel sottobosco crescono asparagi, ginestre tintorie e cespugli di rose selvatiche, ligustri e prugnoli. Nelle aree più umide, quelle esposte a nord o più vicine al torrente, gli alberi più presenti sono le querce (roveri, roverelle e cerri), ma in associazione a carpini bianchi e neri, pioppi e castagni, mentre tra gli arbusti crescono il nocciolo, il sambuco e il nespolo. Nei comuni Sala Baganza (PR) e Collecchio (PR), tra il Fiume Taro e il torrente Baganza, i Boschi di Carrega danno vita a un paesaggio incantato fatto di laghi artificiali, radure chiuse da faggete e querceti, edifici neoclassici, viali alberati, ruscelli e giardini. Nei Boschi di Carrega, che devono il nome all’ultima famiglia proprietaria dell’area, alle piante autoctone delle formazioni boschive naturali si affiancano quelle importate dei giardini artificiali, come il giardino all’inglese fatto realizzare da Maria Luisa, moglie di Napoleone Bonaparte. Seguendo la moda del tempo, il giardiniere di corte Carlo Barvitius piantò diversi alberi esotici, scelti in base alle sfumature di colore del loro fogliame o per via del loro portamento. Per questo motivo, accanto alle querce, ai faggi, ai castagni e agli aceri, crescono esemplari importati di sequoie, cedri del Libano, cipressi di Lawson, abeti del Caucaso e abeti di Cefalonia. Il Bosco della Mesola, che rientra nei comuni della provincia di Ferrara di Mesola, Goro e Codigoro, rappresenta invece l’ultima testimonianza dei boschi litoranei tipici degli ambienti umidi. Le sue dune, infatti, originano numerosi specchi d’acqua dolce circondati dalla vegetazione tipica delle paludi. Nel bosco, dove gli alberi più comuni sono il pino domestico, il leccio, il salice, la tamerice e il pioppo, vive l’ultima popolazione dell’unica specie di cervo autoctona dell’Italia. Si tratta del cervo della Mesola, che un tempo abitava l’intera fascia costiera dell’Alto Adriatico e si distingue rispetto alle altre specie di cervi europei per le sue ridotte dimensioni. La popolazione di questo mammifero, ridotta a meno di 20 esemplari nel dopoguerra, è oggi in aumento grazie ad un programma di protezione.

Alberi Monumentali

In Emilia-Romagna si contano 126 alberi monumentali, di cui 31 crescono nel territorio di piccoli comuni. Le specie più rappresentate sono la roverella – la quercia più diffusa in Italia – e il platano comune, ma non mancano rarità e piante esotiche come il nocciolo di Costantinopoli, il pioppo della Carolina o l’olmo del Caucaso. Nella frazione di Monteombraro del piccolo comune di Zocca (MO), paese noto per aver dato i natali al cantautore Vasco Rossi, si trova un castagno secolare la cui età è stimata in 600 anni. L’albero cresce infatti all’interno di un antichissimo castagneto piantato nel 1400, come documentato da fonti storiche, anche se la tradizione vuole che la pianta abbia 1.000 anni e venisse usata come riparo dal sole da Matilda di Canossa, che amava risposarsi all’ombra della sua chioma. Fino alla seconda guerra mondiale l’albero aveva infatti una chioma ben espansa e rigogliosa, ma venne colpito dai bombardamenti che causarono la rottura di numerosi rami e da allora il castagno non si è più ripreso. Ben noto nella zona, l’albero era oggetto di frequenti visite e ai danni della guerra si aggiunsero quelli dei turisti che vi si arrampicavano, danneggiando i rami. Oggi il castagno presenta un tronco tozzo e irregolare con una chioma di modeste dimensioni, con un’altezza di 9 metri e una circonferenza di 8. L’intero paese di Zocca è legato al castagno, tanto che il suo nome deriva da “zoca”, ovvero la ceppaia del castagno, pianta a cui è dedicato il Museo del Castagno, che racconta l’importanza di questo albero per la comunità locale. A Colorno (PR), nel Parco della Reggia, svetta un esemplare di Zelkova Carpinifolia, conosciuto come olmo del Caucaso: uno degli alberi piantati nel 1820 da Maria Luisa d’Austria. L’albero, che cresce accanto a una delle fontane del parterre, di fronte alle aiuole formate da motivi geometrici tipici dei giardini alla francese, è il frutto di un complesso innesto che ha attecchito perfettamente. Osservandolo alla base, infatti, si nota come l’olmo del Caucaso sia stato impiantato sulla base di un olmo campestre, e questo si riflette sulla corteccia, che nel primo tratto si presenta fessurata come quella dell’olmo comune e subito dopo diventa liscia come da caratteristica dell’olmo del Caucaso. Sembra che siano addirittura 9 gli olmi del Caucaso che, saldati tra loro alla base, siano cresciuti insieme fino a costituire un’unica pianta. Anche le foglie manifestano la particolarità dell’albero: quelle dei rami più bassi sono infatti le foglie dell’olmo comune, mentre quelle dei rami più alti sono proprie dell’olmo del Caucaso. A Bobbio, piccolo comune nella Val Trebbia in provincia di Piacenza, all’interno di un complesso monastico in abbandono cresce un imponente platano. L’altezza dell’albero è di circa 30 metri e lo rende ben visibile dalla centrale Piazza San Francesco, regalando uno scorcio in cui gli elementi architettonici della chiesa e del convento in disuso si mescolano al maestoso portamento dell’albero. A Barchi, frazione del piccolo comune di Ottone (PC), in un piano coltivato e circondato da boschi di castagni e faggi a 1.000 metri di altitudine sull’Appennino piacentino, si trova un castagno secolare che misura 650 cm di circonferenza e ha un tronco inclinato ricoperto di muschi e licheni. L’albero cresce isolato nel pianoro coltivato, ma gli anziani ne ricordano tre, vicini tra loro, e chiamati “le tre sorelle”. Gli altri due vennero tagliati per far posto ai campi. Il faggio secolare del piccolo comune di Tizzano Val Parma (PR), di considerevoli dimensioni e chioma particolarmente ampia e conformata, è testimone del legame tra alberi, territori e comunità che li abitano: infatti è proprio da questo monumento verde che deriva il nome della località in cui si trova, ovvero Grande Faggio.

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