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di Domenico Sturabotti e Tiziano Rugi   

Come evolverà il settore delle rinnovabili da qui al 2030? Che peso avranno le rinnovabili nel mix energetico? Assisteremo ad uno sviluppo lineare oppure dobbiamo attenderci una crescita esponenziale?

La situazione attuale presenta qualche incertezza. Un problema che sta influenzando lo sviluppo delle fonti rinnovabili è l’aumento dei tassi di interesse che ha rallentato gli investimenti in tutti i settori, compreso quello energetico. Tra le rinnovabili soffrono in particolare i grandi impianti eolici: l’incertezza sui tempi di rientro per gli investimenti iniziali ha rallentato o addirittura bloccato diversi progetti.

La tendenza è comunque verso un aumento considerevole della quota da fonti rinnovabili. Solare ed eolico sono in crescita esponenziale e il trend non è destinato a cambiare. In Italia la parte del leone la farà il fotovoltaico: da qui al 2030 il nostro Paese mira a raggiungere 80 GW e bisogna accelerare senza esitazioni. L’attuale velocità di installazione dovrebbe essere 3-4 volte superiore. Nel 2023 il fotovoltaico ha raggiunto 30 GW: un buon risultato, ma sfruttava l’onda del Superbonus. Ora che è venuto a mancare questo stimolo statale, assisteremo a un rallentamento.

Ci sarebbero fondi del Pnrr dedicati, ma non è ancora chiaro come verranno gestiti. È stata anche proposta una tassa 10 €/kW per gli impianti a fonte rinnovabile diversi da geotermico ed idroelettrico di nuova realizzazione con una potenza superiore a 20 kW. Fortunatamente, alla fine è passato un emendamento che l’ha cancellata.

Quale tra le attuali tecnologie rinnovabili registrerà il maggior sviluppo da qui al 2030 e per quali motivi? Dove ritiene, invece, che ci si stia muovendo troppo lentamente?

Allo stato attuale i costi del fotovoltaico e la remunerabilità sono imbattibili. I pannelli fotovoltaici sono semplici da trasportare e possono essere installati ovunque. È la tecnologia che ha “vinto” la gara delle rinnovabili e sarà così negli anni a venire. La situazione è più complessa con l’eolico: per avere una remunerazione sufficiente sull’investimento iniziale, i parchi eolici tendono ad avere dimensioni sempre maggiori, ma questo può generare problemi pratici non indifferenti: gli aerogeneratori non sono facili da trasportare come un pannello solare e questo è ancora più evidente per impianti offshore, in cui gli enormi componenti debbono essere spostati sia via terra con mezzi pesanti, che via nave.

I magneti permanenti degli aerogeneratori sono gli unici componenti ad avere un potenziale problema di disponibilità minerale, in particolare su neodimio e disprosio. Ritengo invece che sia generalmente sopravvalutato il problema dell’approvvigionamento dei materiali per le batterie. Attualmente il prezzo del litio è crollato per eccesso di offerta, il cobalto ha un prezzo basso e la sua sostituzione è in parte già in corso. Nonostante la domanda di batterie sia in crescita siamo abbastanza sicuri di avere stock minerali sufficienti anche in futuro. L’incognita è piuttosto un’altra: riusciremo a produrre i dispositivi di trasformazione e accumulo dei flussi rinnovabili alla velocità richiesta da una transizione energetica che deve accelerare fortemente?

Guardando al prodotto, come cambieranno le tecnologie rinnovabili? Tra le tecnologie emergenti, quali sono quelle destinate a prevalere da qui al 2030 e dove si stanno sviluppando?

Non ci sono grandi cambiamenti in vista sulle tecnologie dell’eolico. La ricerca prosegue nel costruire impianti sempre più grandi, per aumentare la remunerazione delle operazioni. Nel 2024 cominceranno a essere commercializzate turbine che superano i 15 MW di potenza. Dove possibile e conveniente, entro il 2030 potrebbe svilupparsi l’eolico domestico, installando piccoli impianti nei giardini o sui tetti degli edifici, con lo scopo di integrare in inverno la scarsa produzione fotovoltaica. La ricerca sull’eolico si concentra inoltre nel fine vita degli impianti: la pala eolica è costituita da resine e materiali compositi difficili da riciclare. Sostituirli con materiali più riciclabili sarà importante per ridurre in futuro i costi economici e ambientali.

La tecnologia che ha sostanzialmente vinto la corsa delle rinnovabili a livello globale è il fotovoltaico, che sarà la più utilizzata. A livello europeo, superare la Cina nella produzione del fotovoltaico a silicio cristallino è ormai impossibile. Tuttavia con la ricerca e lo sviluppo possiamo realizzare nuovi tipi di materiali fotoattivi, capaci di generare nuove opportunità per il settore manifatturiero europeo. Comunque, oggi, la strada principale è rendere ancora più efficiente il pannello al silicio. I risultati sono stati notevoli in questi anni: i moduli commerciali superano ormai tutti un’efficienza del 20% a prezzi che possiamo definire ormai irrisori.

C’è molta ricerca sulla possibilità di riuscire a sfruttare non solo la luce diretta ma anche quella indiretta con i pannelli bifacciali: un’opzione vantaggiosa perché aumenta il rendimento e permette di ridurre la superficie. Altri studi vanno nella ricerca di materiali alternativi come le perovskiti, che però al momento non sono ancora sufficientemente stabili. Il silicio cristallino resterà la tecnologia dominante ancora a lungo, per ragioni di costi e durata.

Dove non vi sono alternative più efficienti, una soluzione in ottica di decarbonizzazione è l’idrogeno, che è un vettore e non una fonte di energia: deve essere quindi prodotto, partendo però da fonti rinnovabili (idrogeno verde). Attualmente però circa il 95% dell’idrogeno prodotto nel mondo (impiegato quasi esclusivamente nell’industria chimica e non per scopi energetici) è ottenuto da metano (idrogeno grigio). Purtroppo produrre idrogeno verde costa almeno il triplo dell’idrogeno grigio. Rendere più competitivo l’idrogeno verde è una priorità, ma difficilmente sarà possibile prima di 10 anni, quando ci sarà una produzione sufficiente di energia rinnovabile da dirottare sull’idrogeno. Molto dipenderà appunto dall’evoluzione della transizione energetica e dai costi delle rinnovabili.

Per capire quanto deve essere imponente la crescita della capacità elettrica rinnovabile per produrre questo vettore energetico sono sufficienti alcuni calcoli. Il governo italiano ha come obiettivo una penetrazione dell’idrogeno negli usi finali dell’energia del 2% entro il 2030 (e fino al 20% entro il 2050). Sono, dunque, necessarie 1,6 Mton per anno di idrogeno verde. Questo richiede 85 TWh/a di elettricità; generarla esclusivamente da fotovoltaico significherebbe l’installazione di 75 GW (e oltre 10 GW di capacità di elettrolizzatori). Considerando che l’Italia ha oggi una potenza installata di fotovoltaico pari a 30 GW, si tratta di un obiettivo non impossibile, ma servirà un impegno gigantesco.

Probabilmente, tra le diverse fonti di energia, in Italia hanno un futuro le biomasse sostenibili, ad esempio materiali di scarto e legnosi da bruciare in centrali elettriche dedicate che potranno aiutare il sistema elettrico nei mesi invernali meno soleggiati. D’altro canto invece i biocarburanti per i trasporti non potranno mai essere davvero sostenibili, perché richiedono processi di produzione che coinvolgono una varietà di processi termici, chimici e biochimici che necessitano di grandi quantità di materia prima (oltre che di energia…). Le ridotte quote di biocombustibili che riusciremo a produrre in futuro dovranno essere indirizzate prioritariamente al trasporto aereo e navale sulle lunghe distanze, che sono ambiti più difficili da decarbonizzare.

A mio parere uno dei giganti che dorme della transizione energetica è invece l’utilizzo della radiazione solare per riscaldare acqua a bassa temperatura, principalmente per gli usi residenziali. Cipro è una nazione priva di gas e petrolio: ha investito nel solare termico e oggi è il paese con la quota maggiore pro capite di produzione di acqua calda da questa fonte rinnovabile. Soluzioni analoghe sono massicciamente presenti in Grecia e Israele. Considerando che il Sud Italia ha un irraggiamento solare analogo e che i consumi annui di metano per l’acqua calda in Italia sono intorno ai 5 miliardi di metri cubi, sarebbe un’occasione di investimento importante in vista del 2030.

Invece non penso che vi sia spazio nel mix di rinnovabili italiano per tecnologie come l’energia dei moti ondosi. Questa tecnologia ha un’applicazione efficace principalmente negli oceani, ma i siti potenzialmente più interessanti sono spesso distanti dai luoghi di consumo e questo richiede lo sviluppo di costose infrastrutture. La densità di potenza, inoltre, è bassa e quindi lo è anche la remunerabilità. Infine l’acqua di mare è altamente corrosiva: questo rappresenta un’ulteriore sfida tecnica per la tenuta delle infrastrutture nel corso del tempo.

Come cambieranno i modelli di business del settore? Rileva delle convergenze tra il settore energetico e altri settori? Nasceranno nuove filiere su stimolo delle nuove tecnologie?

Tra le convergenze più importanti vi sarà probabilmente il vehicle-to-grid (V2G), che renderà le automobili parte integrante della rete elettrica. Per coglierne le potenzialità è sufficiente pensare che 20 milioni di veicoli equipaggiati con una batteria da 50 kWh costituiscono una riserva energetica enorme (1 TWh). Anche solo utilizzando il 10% dell’energia della batteria di 10 milioni di veicoli si arriva a numeri rilevanti (50 GWh). L’idea di trasformare le automobili in un power bank diffuso per stabilizzare la rete è di un’importanza rivoluzionaria. Inoltre, quando sarà possibile vendere l’energia in eccesso – ad esempio di un’automobile parcheggiata (il 95% del tempo le automobili sono parcheggiate!) – si creeranno nuove opportunità di remunerazione diffuse tra la cittadinanza che fino a dieci anni fa erano inconcepibili.

Quale ruolo sta avendo e avrà il digitale in questa trasformazione? Quale effetto avrà sulla rete elettrica? Vede nuove opportunità di business nel settore dell’energia? Nasceranno nuovi attori?

L’impatto del digitale sarà fondamentale per le nuove esigenze della rete elettrica, perché permette di connettere sulla rete telematica tutti gli attori del sistema, dai produttori di energia ai consumatori finali. Sarà la chiave di volta della transizione energetica. Nell’attuale sistema energetico in cui gran parte dell’energia è prodotta da combustibili fossili, ci sono tante “macchine” indipendenti che non dialogheranno mai tra di loro: automobili, caldaie domestiche, boiler industriali.

L’elettrificazione e “l’internet delle cose” permetteranno invece la comunicazione in tempo reale – attraverso i cavi o wireless – tra i dispositivi di produzione e consumo di energia, con l’obiettivo di aumentare l’efficienza energetica, ridurre il consumo di elettricità, utilizzando al meglio quella prodotta dall’impianto fotovoltaico domestico o aziendale. Più dispositivi di produzione e consumo di energia sono connessi e in dialogo tra di loro, più la rete elettrica sarà capace di reggere allo stress dell’aumento dei consumi elettrici a cui andremo incontro con l’elettrificazione crescente, rispondendo con efficacia ai picchi di domanda in certi momenti dell’anno o della giornata.

La flessibilità del sistema che ne deriverà, in accoppiamento con la crescente capacità di accumulo garantita dalle batterie, apre potenzialmente nuove opportunità di business per il gestore di rete e per chi eroga servizi. I cittadini non saranno più solo utenti finali che acquistano e vendono elettricità, ma acquisteranno anche servizi di gestione smart delle apparecchiature domestiche come ad esempio le pompe di calore, che verranno attivate o spente a seconda delle esigenze del resto del sistema.

La convergenza tra fonti rinnovabili, elettrificazione e digitalizzazione è un’opportunità per tutti: saranno messi a disposizione dei cittadini nuovi servizi, nasceranno nuovi lavori e modelli di business. Ad esempio le aziende nate per gestire via app la ricarica dei veicoli potranno allargare obiettivi e prospettive.

Quali nuove professionalità vede emergere nel settore? Il fine vita è sicuramente un campo di intervento sterminato. Ritiene nasceranno altre figure professionali? Quali saranno le figure professionali chiave? E che diffusione stanno avendo e quale avranno nel mercato del lavoro da qui al 2030?

Dal punto di vista delle professionalità, partirei dalle cose più ovvie: occorrerà potenziare la rete di distribuzione elettrica, mentre le aziende specializzate in caldaie a gas dovranno riconvertirsi alla produzione di pompe di calore e questo richiederà nuovo know-how. Quindi, per prima cosa, servono molte professioni “tradizionali” essenziali per la transizione energetica e che oggi, purtroppo, mancano: occorrono più elettricisti, elettrotecnici, termotecnici, ingegneri. Senza di loro, l’elettrificazione rischia di rimanere solo un sogno.

Serviranno però anche architetti per riprogettare le città. I centri storici italiani andranno ripensati integrandosi con le energie rinnovabili, mentre servirà un piano di efficientamento energetico delle periferie costruite nel secondo dopoguerra, che sono spesso autentici colabrodi termici. È difficile, invece, persino immaginare le professioni che nasceranno da qui a trent’anni. Sicuramente l’enormità della trasformazione che ci attende stimolerà la creatività di nuovi servizi e professioni e sarà una grande occasione per molti giovani.

Come cambieranno le tecnologie legate alle rinnovabili dal punto di vista del design e delle soluzioni. Vede una maggiore integrazione con prodotti edilizi o manifatturieri? Questa integrazione si farà sempre più stretta tanto da cambiare il volto di prodotti, abitazioni o addirittura città nei prossimi dieci-venti anni? È a conoscenza di prodotti di questo tipo e chi li sta sviluppando?

La ricerca di una maggiore integrazione funzionale tra il fotovoltaico e vari ambiti va avanti in diverse direzioni. Al CNR studiamo diverse soluzioni innovative sul fotovoltaico come i concentratori solari luminescenti (LSC). Un dispositivo LSC è costituito da un pannello plastico in cui sono dispersi dei fluorofori, cioè dei composti di varia natura capaci di assorbire parte della radiazione solare e di riemetterla ad una lunghezza d’onda inferiore a quella di assorbimento. La radiazione luminosa rimane per la gran parte intrappolata all’interno del pannello e si concentra ai margini.

Posizionando una comune cella fotovoltaica al silicio ai margini del pannello è possibile quindi sfruttare la radiazione lì concentrata e produrre corrente elettrica. La prima applicazione è posizionare i concentratori solari luminescenti nelle finestre, per sfruttare energia solare che andrebbe altrimenti persa. Ma la tecnologia può essere impiegata più in generale nelle pareti verticali delle città o in altri ambienti urbani come pensiline e fermate del trasporto pubblico. Il problema è che i materiali fluorescenti per questi dispositivi sono colorati, tipicamente gialli ed arancioni, e quindi non sono adatti in alcuni contesti, come centri storici o uffici.

Qualcuno ha pensato di adottare una soluzione simile integrando pannelli fotovoltaici con le strade e i marciapiedi delle città. Nel concreto però, da qui al 2030, difficilmente vedremo impiegata questa tecnologia, perché richiederebbe una continua manutenzione dei pannelli fotovoltaici e delle connessioni alla rete elettrica, a causa dello stress a cui sono soggette le strade. Probabilmente un’applicazione potrebbe esserci nelle zone pedonali o nelle piste ciclabili, ma si tratta di aree marginali. Più che un reale impatto sull’economia cittadina, assumerebbe un significato educativo sull’importanza delle fonti rinnovabili.

Da qui al 2030 quali sono le barriere allo sviluppo delle rinnovabili che la preoccupano di più e perché?

Prima di tutto servono forti investimenti nella rete elettrica, che deve adeguarsi alle nuove esigenze, come del resto ha sempre fatto: venti anni fa si sosteneva che il sistema sarebbe crollato a causa del massiccio utilizzo dei condizionatori, e non è successo. Tuttavia, nella fase di transizione, può accadere che sia necessario staccare alcuni impianti fotovoltaici domestici o aziendali per evitare sovraccarichi alla rete elettrica, in particolare in aprile e maggio. Questi sono infatti mesi di grande produzione da fotovoltaico, ma non ancora così caldi da avere una elevata domanda di elettricità per condizionatori. È quindi indispensabile l’implementazione di una rete che renda possibile utilizzare, smistare e accumulare l’elettricità in eccesso in ogni momento dell’anno e di supplire alle carenze con gli stoccaggi e le connessioni internazionali nei periodi più sfavorevoli.

La necessità di flessibilità della rete elettrica, richiederà un notevole sviluppo di nuovi accumuli chimici, idrici o anche di altro tipo. Se su questo fronte l’evoluzione sarà più lenta rispetto alla diffusione delle rinnovabili, potremo avere problemi. Per l’accumulo elettrico oggi utilizziamo soprattutto la batteria al litio, ma non è la soluzione migliore in tutti gli ambiti. E non perché il litio sia scarso, ma perché è in gran parte uno spreco usarlo per le batterie di accumulo negli edifici: serve per gli automezzi, che hanno vincoli sui volumi ben più stringenti. Per l’utilizzo domestico è molto meglio pensare a nuove tipologie di batterie come quelle al sodio. Lo sviluppo tecnologico è alle porte. Le batterie al sodio potranno entrare in commercio entro cinque anni. Questo avrà un effetto benefico sui prezzi del litio e metterà in sicurezza le catene di approvvigionamento, visto che il sodio è molto più abbondante e diffuso in natura.

In questa riorganizzazione del sistema che ruolo può giocare l’Italia, soprattutto in quali segmenti può giocare la sua partita?

I pannelli fotovoltaici e le celle delle batterie sono di provenienza prevalentemente cinese ed è ormai impossibile superare Pechino in questo mercato. L’Italia, tuttavia, può giocare una partita importante nel campo del riciclo. Quando i pannelli fotovoltaici nei prossimi anni arriveranno al fine vita, non sarebbe economico portarli all’estero perché vengano riciclati, per poi importarli nuovamente e installare il nuovo. Lo stesso vale per le batterie al litio esauste. Però servirà una politica industriale lungimirante che per ora purtroppo non si vede.

C’è anche un ostacolo tecnico da superare: attualmente non c’è un’elevata domanda di riciclo perché i pannelli fotovoltaici installati oggi sono ancora ben lontani dal fine vita, mentre il mercato dell’auto elettrica si sta sviluppando adesso. È indispensabile, tuttavia, farsi trovare preparati perché la domanda di riciclo esploderà in maniera rapida e sarà di enormi dimensioni. Il problema è che è poco attraente investire oggi in un settore che fiorirà tra 10-15 anni.

Tutto dipenderà, soprattutto, dal tempismo: chi a livello europeo sarà capace di arrivare al momento giusto con l’offerta giusta sulla filiera complessiva delle rinnovabili e delle tecnologie digitali avrà un vantaggio competitivo enorme. Un ruolo importante lo avrà anche la contingenza, viste le variabili geopolitiche che possono portare nuovi improvvisi (e imprevedibili) shock.

L’Italia non può sicuramente permettersi di farsi trovare impreparata, come è successo con l’eolico, dove negli anni Ottanta avevamo aziende importantissime, ma poi il mercato è stato dominato da Danimarca, Germania, Spagna e Olanda. Né d’altro canto, a livello di Unione Europea, possiamo permetterci di lasciare anche la filiera del riciclo del solare in mano alla Cina. Speriamo di aver imparato la lezione.

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