Il vero problema è che non si è mai attuato il piano Bondi, primo commissario dell'ex Ilva, che puntava a una reale riconversione dell'industria con il passaggio al metano e il superamento del carbone».
Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente, intravede nella riconversione in chiave ecologista l'unica soluzione al problema della più grande acciaieria d'Europa. Perché si è perso tempo prezioso sprecando l'occasione di una riconversione? «Purtroppo si è partiti da un handicap culturale delle vecchie generazioni: più di mezzo secolo non c'era l'attitudine a prendere in considerazione il rispetto dell'ambiente e dei lavoratori. Basti pensare al piano regolatore di Venezia, del 1962, che stabiliva come a Marghera dovessero nascere imprese che producono veleni nocivi alle persone e all'ambiente. A Taranto non c'è un documento scritto come questo, ma la pratica è la stessa di quella di Marghera. È arrivato il momento di spezzare la catena». Qual è stato l'anello debole della catena? «L'ex Ilva paga le logiche sbagliate di ciò che era prima, ossia l'Italsider, ma in verità anche il passaggio della famiglia Riva non ha portato nulla di buono sul fronte dell'impatto ambientale. L'unica alternativa è il metano, o un forno elettrico».