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«Se l’Italia punta sul settore, favorisce un’economia più a misura d’uomo e competitiva» dice Realacci di Fondazione Symbola

Il mondo della cultura si lascia alle spalle un 2020 difficile, ma da alcuni comparti e da alcune aree geografiche arrivano importanti segnali di tenuta. Questa la fotografia scattata da “Io sono cultura 2021”, il rapporto annuale firmato da Fondazione Symbola e Unioncamere, da cui emerge con riferimento al 2020 per la filiera un valore complessivo di 84,6 miliardi di euro (in flessione di poco più dell’8% sull’anno prima), con poco meno di 1,5 milioni di persone occupate. Si tratta di valori che, rispettivamente, incidono per il 5,7% e 5,9% di quanto complessivamente espresso dall’intera economia italiana, con una capacità moltiplicativa pari a 1,8 (per un euro prodotto se ne generano 1,8 nel resto dell’economia) che sale a 2 per il patrimonio storico e artistico e a 2,2 per le industrie creative.

«Il 2020 è stato un anno di grandi difficoltà per le attività culturali e creative – dichiara Andrea Prete, presidente di Unioncamere - con una perdita dell’8,1% sul 2019. Da 11 anni Unioncamere realizza insieme agli altri partner il Rapporto sulle industrie culturali e creative, un’esperienza unica e uno strumento utile per impostare le politiche dedicate a questo settore. Che, per il suo altissimo apporto all’economia del Paese, merita la massima attenzione da parte di tutti i soggetti che possono contribuire alla sua ripresa e al suo sviluppo, tra i quali le Camere di commercio».

«Dalla presidenza italiana il primo G20 sulla cultura mentre l’Italia rafforza il suo primato per numero di siti Unesco (58 siti e la Cina seconda con 56). Il settore culturale – dichiara Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola - ha pagato più di altri settori la crisi dovuta alla pandemia ma si conferma l’importante ruolo anche economico. L’Italia deve essere protagonista del nuovo “Bauhaus” voluto dalla Commissione Europea per rinsaldare i legami tra cultura, creatività, produzione, scienza, tecnologia e affrontare la transizione verde. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura, sulla bellezza e sulla coesione, favorisce un’economia più a misura d’uomo e, anche per questo, più competitiva e più capace di futuro come affermiamo nel Manifesto di Assisi».

Più in generale, se la ricchezza prodotta dalla filiera, nel 2020, si è ridotta dell’8,1% contro il -7,2% medio nazionale, anche l’occupazione è scesa notevolmente, del 3,5% rispetto al -2,1% dell’intera economia italiana. Nonostante l’impatto della crisi, alcuni comparti hanno mostrato segnali di tenuta generale. In particolare, le attività di videogiochi e software, pur registrando una leggera riduzione degli occupati (-0,9%), hanno aumentato la ricchezza prodotta del 4,2%, beneficiando anche della spinta al digitale collegata al maggiore tempo trascorso in casa.

Al contrario, una crisi generalizzata sembra avere interessato le attività di valorizzazione del patrimonio storico e artistico e le “performing arts”, duramente colpite dalle misure restrittive e di contenimento. Il comparto del patrimonio storico e artistico ha registrato una contrazione del 19% relativamente alla ricchezza prodotta e dell’11,2% in termini occupazionali; peggio ancora per le “performing arts”, scese del 26,3% e dell’11,9% rispettivamente.

Quanto alla ripartizione geografica, la grande area metropolitana di Milano figura al primo posto nelle graduatorie provinciali per incidenza di ricchezza e occupazione prodotte, con il 9,7 e il 9,8%, mentre Roma è seconda per valore aggiunto (8,7%) e quarta per occupazione (7,8%) e Torino si colloca terza in entrambe le categorie (8,4% e 7,9 per cento).

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La filiera della cultura saluta un 2020 complicato con 84,6 miliardi di valore e 1 milione e mezzo di occupati. Debole il patrimonio artistico, bene i videogiochi | La Stampa | Carlotta Scozzari

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