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Non è solo caporalato. Dopo aver denunciato la criminosa morte di Satnam Singh, il 31enne indiano deceduto in seguito a un incidente sul lavoro nei campi di Latina, serve a maggior ragione valorizzare le buone pratiche di chi i migranti li contrattualizza e retribuisce regolarmente. Come nel caso di Marco Caprai, premiato venerdì scorso nell’ambito del Seminario estivo di Fondazione Symbola per la sua storia di imprenditore illuminato.

Caprai, titolare dell’azienda agricola familiare "Arnaldo Caprai" aveva accettato la sfida lanciata nel 2016 da un sacerdote che accoglieva migranti: «Hanno voglia e bisogno di un lavoro: perché non li prendi nelle tue vigne?». Da allora questa impresa, che in Umbria produce molte eccellenze tra cui il Sagrantino, è diventata punto di riferimento per centinaia di uomini e donne straniere che qui hanno trovato contratto e dignità: nelle proprietà di Caprai si parlano 23 lingue diverse e lui è diventato modello di una scelta etica.

Ma rifiuta l’etichetta: «Non è un problema di umanità o buonismo. Questa è l’unica strada possibile per garantire professioni che ai nostri giovani non interessano». Etica e business, insomma, vanno a braccetto. O, come ripete il presidente di Fondazione Symbola Ermete Realacci, “fare il bene fa bene al business”. E così si contrasta nei fatti il caporalato.
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La scelta di Marco Caprai: «Nelle mie vigne integrazione e contratti» - Elisabetta Soglio | Corriere della Sera Buone Notizie

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