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di Fondazione Symbola e Deloitte

Quali sono le tecnologie più rilevanti per il futuro della progettazione?

Andrea Desiato: Rispetto alla nostra esperienza come Design Group Italia, la nostra crescita ed evoluzione, facciamo uso di tecnologie come Internet of things e Digital Twin; se guardiamo al futuro, invece, l'intelligenza artificiale batte tutti. Qualsiasi azienda sta provando a integrarla nei suoi processi e la parte etica non è banale, perché bisogna capire come integrare un’intelligenza artificiale all'interno di un contesto dove ci sono persone e servizi. Un'altra tecnologia importante per Design Group Italia è la robotica, fondamentale per l'evoluzione e il futuro della progettazione. E poi anche tutto ciò che riguarda il Digital Identity Management, soprattutto per ciò che concerne l'esperienza digitale, omnicanalità e multi-touchpoint.

Quali applicazioni consolidate o nascenti queste tecnologie permettono in futuro al mondo della progettazione?

Andrea Desiato: Non farò nomi per ragioni aziendali, però cerco di spiegare il contesto con degli esempi. Nel mondo del medicale lavoriamo per un cliente che si occupa di dialisi. L'intelligenza artificiale è importante. Perché? Perché riusciamo a portare con molta più facilità negli applicativi che disegnano – applicativi che servono a gestire il trattamento e la cura per i pazienti in dialisi – delle formule che permettono al medico curante di tenere sotto controllo il trattamento. Se prima il medico aveva bisogno di una visita ogni mese dove guardava per un’ora il paziente in dettaglio, adesso quella visita rimane - perché è importante il contatto con il paziente - ma, grazie a una serie di strumenti abilitati dall'intelligenza artificiale, i dati a supporto e le informazioni che il medico può consultare sono più accurati. Su questo fronte l’AI aiuta a disegnare delle interfacce e dei processi più snelli e la qualità dell'output – essendo queste informazioni basate su grandi quantità di dati raccolti negli anni – è molto più affidabile. Arriviamo al 99,2% di affidabilità sulle informazioni puntuali. Tre anni fa tutto questo non era possibile e le interfacce e il modo in cui i supporti digitali assistevano i medici nelle loro attività funzionavano in modo molto più aleatorio. Adesso è tutto più semplice, perché questi strumenti aiutano a processare i dati e a interpretarli. Supportano e predicono quello che sarà il trattamento dato al paziente. L’occhio umano, il controllo della persona e la responsabilità medica ci sono sempre, ma i software basati su AI facilitano tantissimo la lettura e l’interpretazione dei dati, per l’individuazione degli aspetti importanti da considerare e monitorare.

State sviluppando questo tipo di applicazioni anche per la sanità pubblica?

Andrea Desiato: In questo caso è un cliente privato, non italiano, una multinazionale importante leader nell'ambito della dialisi. Hanno collaborazioni con diverse università nel mondo per la sperimentazione di applicazioni di AI e tra i vari algoritmi sviluppati, uno molto interessante riguarda il calcolo dell’aspettativa di vita. In base alle condizioni del paziente e ai dati raccolti in milioni di trasfusioni fatte negli anni, questo algoritmo è in grado di predire se questa persona vivrà cinque anni, due mesi, dieci anni e via dicendo, con un’accuratezza del 99,8%.

L’attività di progettazione è di fornire sistemi che aiutano il medico a interfacciarsi con una serie di dati?

Andrea Desiato: Per questo cliente progettiamo da un lato ciò che riguarda il sistema clinico, dall'altro ciò che riguarda i caregiver che a casa possono dare supporto alla persona malata. Progettiamo anche tutte le interfacce che permettono di gestire la quantità di dati e il fascicolo clinico/fascicolo sanitario, con le dovute eccezioni da nazione a nazione. Interfacce che permettono di vedere come il trattamento viene seguito dal paziente. Tramite altri touchpoint progettati da noi, questi dati possono poi essere raccolti dalla cycler (macchina per dialisi) o dall'applicazione che permette di tracciare – come se fosse un'applicazione fitness sul telefono – tutti i dati vitali del paziente e quelli relativi alle trasfusioni e alle medicine prese per la cura. Sono dei sistemi che in tempo reale ti permettono di monitorare il percorso del paziente e intervenire quando necessario. Tutti questi algoritmi non li progettiamo direttamente noi: sono parte di un team più grande del cliente, ma lavoriamo ovviamente a stretto contatto con quelli che sono i data analyst, gli esperti di AI del cliente.

Da un punto di vista etico, non essendo voi i programmatori dell'algoritmo, non siete voi che mettete delle bandierine bianche o rosse?

Andrea Desiato: Le bandierine proviamo a sollevarle sempre. Abbiamo a cuore l'esperienza del paziente e il nostro primo obiettivo è che possa migliorare la sua situazione. Nel caso specifico parliamo di una malattia cronica, per cui l’obbiettivo del nostro lavoro, delle applicazioni progettate e dei servizi offerti si traduce in 10 minuti di vita “normale” al giorno, che per noi è un grande successo. L’etica per noi è fondamentale. Il cliente si è sempre dimostrato attento a queste considerazioni e i nostri referenti sono coinvolti nella gestione e nella costruzione dell'esperienza del paziente. Anche i piani alti devono dedicare attenzione alle giuste intenzioni di questi strumenti.

Un altro esempio interessante è la robotica. Stiamo lavorando per una start up che si occupa di creare dei nuovi modelli di robot per disegnare la Human Robot Interaction: insieme, stiamo progettando il modo in cui questi robot dovranno interagire con il contesto e con le persone. Sono robot pensati per ambiti lavorativi, ma non sono dei classici robot da catena di montaggio. L'idea alla base è di progettare dei compagni di lavoro – in ottica anche di evitare che un giorno i robot sostituiscano in toto la forza lavoro umana. L'obiettivo di questa startup, nostro committente, è trovare delle modalità per cui questi robot siano accettati sia dai lavoratori che dal business, che oltre al vantaggio economico può offrire un percorso di senso dove l’umano resta al centro pur collaborando con il robot. Nello specifico, stiamo progettando i meccanismi che permettono al robot di muoversi e di comunicare tramite feedback sensoriali.

Federico Casotto: Sono macchine che si muovono autonomamente nello spazio e che sanno orientarsi. Ci stiamo concentrando anche sulle funzionalità di raccolta dati per fare in modo che queste macchine siano delle centraline mobili, in grado di acquisire dati, elaborarli e inviarli.

Ho lavorato nelle prime fasi del progetto quando si trattava di definire possibili scenari di utilizzo di queste tecnologie. Ho esplorato diversi settori dialogando con esperti e operatori, dalla logistica, agli ambienti industriali, fino all’agricoltura. Nel settore agricolo in particolare ho riscontrato un interesse che non mi aspettavo. Abbiamo ragionato molto, ad esempio, su attività di monitoraggio continuo nei campi o nelle serre per individuare con adeguato anticipo eventuali focolai di infestazione. A questo fine si sarebbero utilizzate, oltre alla capacità di orientarsi del robot, anche quella di riconoscere gli infestati sia visivamente sia con altri sensori.

Per quanto riguarda Design Group Italia, in quale ambito di specializzazione del design e a che livello fa uso di tecnologia?

Andrea Desiato: Probabilmente mai abbastanza. In generale stiamo cercando di utilizzare l’AI per tutto ciò che riguarda la parte generativa di immagini e contenuti, ma anche integrata in processi di dialogo e di conversazione non finalizzati a sostituire i momenti di brainstorming ma per offrire maggiori spunti di idee e maggior efficienza nei vari processi a valle. Oggi il rapporto tra attività realizzabili dall’AI e dall’uomo è 50/50. Laddove serve molto ragionamento ed interpretazione, l’esperienza del designer è più importante della grande mole di dati che AI permette di analizzare in poco tempo. Mentre nelle attività più pedisseque AI è inarrivabile.

In riferimento al Communication & Multimedia Design ci piacerebbe fare di più. Al momento utilizziamo l’AI per la ricerca - per la trascrizione e la sintesi - e stiamo provando diversi servizi che ci permettono di alimentare delle personas basandoci sull’intelligenza artificiale, con un grande risparmio di tempi, passando da una settimana di lavoro ad avere personas create in pochi minuti.

Per quanto riguarda il Digital and Interaction Design, stiamo provando a introdurre l’AI sulla parte della progettazione: tutto ciò che riguarda il passaggio handoff con tutte le specifiche relative alla User Interface. Ci sono strumenti che integrano sempre di più dei plugin che funzionano con intelligenza artificiale e che ti permettono di disegnare e creare componenti da inserire nelle interfacce degli applicativi facendo esportare il codice all’AI, senza dover avere delle competenze informatiche di alto livello e riducendo i tempi di realizzazione. Si sta inoltre provando a costruire delle interfacce AI driven: realizzando delle moodboard ad hoc destinate all’AI affinché sviluppi l’interfaccia desiderata.

Nella progettazione di siti web, grazie all’AI è possibile migliorare ed efficientare una serie di test che utilizzano l’Eye tracking simulando come un utente tipo interpreta una pagina, quali aree sono più visitate e quali immagini funzionano meglio. Si creano delle heatmap simulate secondo il target che vai a definire e questo permette di evitare di fare dei test con degli esseri umani e degli strumenti di data analytics. Grazie all’AI si anticipa l'analisi e si hanno i dati per fare valutazioni e prendere decisioni, consentendo un efficientamento dei processi.

Anche per lo Space Design si sta lavorando con i tool di generazione. Un esempio è una mostra che si terrà in Italia nei prossimi mesi: il team ha pensato a un'installazione a fine esposizione in cui, dopo aver visto dei quadri di diversi periodi storici, realizzati con stili particolari, puoi scattare un selfie e in tempo reale ti ritrovi la tua immagine con lo stile dell'artista e di quel periodo storico. La stampa del selfie diventa il ricordo della tua esperienza.

Riguardo al Brand Design, l’AI viene utilizzata con strumenti già in commercio come Photoshop, Firefly, Midjourney. Idem per Product Design.

Federico Casotto: Parlando di applicazioni di AI nel Product Design, un cliente, ad esempio, ci ha chiesto di produrre degli storyboard di buon livello sfruttando questa tecnologia. Una volta si investiva molto tempo per fare schizzi, disegnare e rifare. Adesso con questi nuovi strumenti si riesce a ottenere un alto livello di qualità delle illustrazioni, senza impiegare una persona per un giorno intero o più a lungo. Anche dal punto di vista della generazione di concetti, come ausilio al brainstorming, mettere qualche prompt giusto dà stimoli interessanti.

 A parte l’uso che stiamo cominciando a farne noi nel nostro studio, l’AI sta trovando molte applicazioni nei processi di innovazione dell’industria alimentare, che è la mia area di competenza. Per un progetto, qualche tempo fa, mi sono imbattuto in una società che offre alle aziende alimentari la possibilità di testare diverse combinazioni di sapori sui gemelli digitali dei loro consumer target, sviluppati dall’AI. In questo modo si possono ottenere risultati utili in poche ore anziché in mesi di ricerche e tasting con persone reali. Non ho riscontri diretti sull’affidabilità di questi test, ma credo che non siano molto meno affidabili dei test tradizionali, che hanno comunque un certo grado di incertezza. La differenza decisiva è nei tempi e negli investimenti richiesti.

Quanto è diffusa in Italia la consapevolezza che il design può accompagnare l’adozione dell’AI nelle aziende con uno sguardo etico e inclusivo? Come può il design aiutare a umanizzare l’AI?

Andrea Desiato: Quello che facciamo come Design Group Italia è cercare di mantenere l’attenzione sulle persone, siano interne o esterne alle aziende. Oggi c’è consapevolezza sia rispetto alla potenzialità dell’AI sia al supporto che il design può fornire nell’introdurre l’AI nei prodotti, nei touch point, nei diversi canali di comunicazione. Riguardo la parte etica e sostenibile, non c’è ancora una maturità per far sì che il discorso sia bilanciato. Tutti stanno testando l’AI quindi i risultati non sono ancora chiari, anche perché siamo agli inizi. Parlando di mondo imprenditoriale il fine prevalente è la crescita, tutto il resto va in secondo piano. Fin quando il vantaggio economico e competitivo non è bilanciato in egual modo da un vantaggio per le persone, ci sarà sempre una differenza fra “Cosa mi permette di fare l’AI e cosa è giusto fare con l’AI?”.

Federico Casotto: La vocazione dei designer è di rendere i prodotti e i servizi su cui intervengono desiderabili ed efficienti per le persone e allo stesso tempo remunerativi per le aziende che li offrono. Se l’azienda è orientata verso soluzioni sostenibili ed etiche i designer possono fare moltissimo per propiziare il successo commerciale di queste soluzioni. Se invece l’azienda non è già ben orientata, i designer possono certamente suggerire questo tipo di soluzioni, ma la possibilità di incidere sulle scelte strategiche del management è limitata. A meno che non ci sia una richiesta specifica in questo senso.

In quali ambiti di specializzazione del design l'adozione di soluzioni di intelligenza artificiale offre maggiori opportunità?

Andrea Desiato: Secondo me tutti perché sono lavori che riguardano l'intelletto e la creatività: in ognuno di questi ambiti l'AI può aiutare e sicuramente aiuterà.

Esempi in ambito industriale (catene di logistica, produttive): dashboard di gestione di grandi quantità di dati dove l'AI aiuta a semplificare il processo sia di raccolta dati, analisi e anche di costruzione di dashboard comprensibili e azionabili per chi dovrà prendere delle decisioni. Il processo è più pulito e snello, ma ogni volta cediamo un pezzo di conoscenza alle nostre macchine, ai nostri algoritmi. In genere, cediamo intelligenza in cambio di semplificazione. A lungo andare si farà sempre più affidamento all'AI, quindi la persona che prima era cosciente di tutto quello che era il flusso di lavoro, della modalità con cui i dati vengono raccolti e della loro qualità, oggi si perde molta percezione di quello che c'è dietro. Un po’ quello che è successo quando Google è diventato parte delle nostre vite: prima per trovare un indirizzo avevamo un libro con tutte le mappe che usavamo per orientarci; oggi basta un click e seguiamo le indicazioni forniteci dal sistema. Penso che mantenere una supervisione umana sia fondamentale. Il pericolo è che, a lungo andare, se ne sentirà sempre meno l’esigenza, perdendo la comprensione del progetto e del flusso di lavoro. Così facendo si rischia di appiattire la conoscenza (anche degli esperti), riducendo il coinvolgimento delle persone a favore della semplificazione dei processi, sempre più lineari.

Quali sono i vantaggi principali che l’AI offre ai suoi clienti in termini di competitività?

Andrea Desiato: L'ottimizzazione dei processi, efficienza, produttività; la riduzione dei tempi e l’assistenza nel processo di creazione.

Guardando alle nuove frontiere del packaging innovativo in carta, quali sono i settori in cui ritieni ci siano maggiori possibilità di sviluppo?

Federico Casotto: E-commerce, ristorazione veloce e delivery. Abbiamo fatto di recente un progetto in cui ci è stato richiesto espressamente di lavorare con la carta per realizzare dei contenitori per patatine condite, tipo quelli per pizza. In una prima fase dovevamo esplorare anche altri materiali, ma alla fine l’azienda ha optato per la carta fustellata e piegata perché, rispetto alla plastica, ha un vissuto di sostenibilità consolidato.  È una reputazione non sempre meritata, perché in molti casi gli imballaggi in carta hanno un’impronta di carbonio più elevata dei corrispondenti in plastica. I nostri interlocutori in azienda ne sono consapevoli ma devono fare i conti con le percezioni dei consumatori. La demonizzazione della plastica di questi ultimi anni ha fatto molto per diffondere queste percezioni nelle società. Quello che andrebbe demonizzato però non è il materiale in sé ma le carenze delle filiere del riciclo.

Nel farmaceutico, nella cura e igiene della persona ed anche nel packaging alimentare, la plastica predomina per la sua inerzia chimica e per le sue qualità di barriera. Se la carta entra in questi ambiti lo fa quasi sempre perché è accoppiata con film di plastica. Anche qui giocano molto di più le percezioni che la realtà dei fatti. Gli imballaggi accoppiati a prevalenza carta sono percepiti come più sostenibili perché riducono in misura significativa la quantità di plastica necessaria. Però in genere sono più pesanti e più impattanti in termini di emissioni di CO2 e pongono dei problemi di smaltimento per cui le filiere del riciclo non sono sempre attrezzate. La normativa vigente dice che se la carta supera il 60% in peso nei materiali compositi, questi materiali possono essere gettati nel bidone della carta. I consumatori così sentono di ridurre il loro impatto sull’ambiente, anche se non è detto che ciò sia vero. Anche in questi casi l’attenzione dovrebbe concentrarsi sulla qualità delle filiere del riciclo, più che su quelle dei materiali.

Per quanto riguarda l’e-commerce, il food delivery e i servizi di bordo dei trasporti, verso quali direzioni si sta sviluppando il packaging innovativo in carta?

Federico Casotto: Nell’e-commerce la carta è il materiale d'elezione delle scatole che arrivano in casa. Le evoluzioni più interessanti riguardano la possibilità di dimensionare l'imballaggio a seconda di quello che ci si mette dentro. Evitare l’utilizzo di imballaggi sovradimensionati rispetto al contenuto ha un forte impatto sulla user experience. La gestione dei materiali di imballaggio dopo la consegna è uno degli aspetti più critici dell’esperienza di acquisto online.

Consideriamo Amazon che sta lavorando con le imprese per rendere il packaging iniziale del produttore più resistente per affrontare il viaggio. Discorsi di questo tipo, stanno prendendo piede?

Federico Casotto: Ultimamente è capitato anche a me di ricevere prodotti nella scatola del produttore senza ulteriore protezione. Quando mi sono arrivate ammaccate, però, non sono stato molto contento. E neanche quando le ho trovate sul mio pianerottolo, così, in vista. Bisogna fare ancora dei ragionamenti. È un tema straordinariamente interessante, per noi, e molto sfidante.

Quali sono gli altri motivi che spingono a scegliere la carta in questi ambiti?

Federico Casotto: La carta è un ottimo supporto per il branding. Si presta molto più della plastica a finiture premium e a stampe di pregio. Inoltre, sempre di più premiumness e sostenibilità sono valori che vanno insieme nella percezione dei consumatori.

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