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Per la transizione verde la burocrazia è un "nemico mortale" Roma, 8 feb. (askanews) - Il Recovery Plan "non è una legge di bilancio", i numeri non tornano rispetto a quanto indicato dall'Ue, i progetti non sono definiti in termini di tempi e di strumenti e anche la partita della transizione verde "ha un nemico mortale che è la burocazia italiana, da affrontare con misure concrete e con l'indicazione al paese di un orizzonte chiaro". A dirlo ad askanews, alla vigilia della sua audizione presso la VIII Commissione (Ambiente, Territorio E Lavori Pubblici) della Camera dei Deputati sul Recovery plan, è Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola. Tra i fondatori del Kyoto Club, Realacci è stato Parlamentare italiano, già Presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati, ed ha guidato fin dai primi anni Legambiente. "Uno dei successi più importanti del secondo Governo Conte, e di Giuseppe Conte in particolare - sottolinea Realacci -, è stato aver gestito bene la fase iniziale in cui l'Europa ha fatto questa scelta, non scontata, anzi alcuni anni fa impensabile, di destinare risorse molto importanti (750 mld di euro) alla ripresa, e di queste risorse maggior beneficiario è l'Italia con 209 mld. La fase invece di gestione di questo successo è francamente ancora indeguata. Si sapeva che sarebbe stato necessario mettere ancora mano al Recovery Plan e da questo punto di vista penso che il Governo Draghi, e soprattutto la figura di Draghi, possono rappresentare ancora di più una occasione per l'Italia". Per Realacci, "dietro gli errori compiuti nell'organizzazione della proposta italiana all'Unione Europea sul Recovery Plan c'è innanzitutto una percezione di fondo sbagliata: tutti, chi più chi meno, hanno interpretato il Recovery Plan come una grande Legge di Bilancio gratuita perchè pagata dall'Europa, e quindi hanno cominciato a trattare questa enorme quantità di risorse proponendo infinite varianti di spesa, anche giuste, ma che non hanno nulla a che vedere con quello che l'Europa aveva detto. L'Ue invece è stata chiara e ha indicato tre assi, inclusione-coesione che comprende anche il fronteggiare la pandemia, transizione verde, dove va la parte più rilevante delle risorse, e infine digitale e innovazione. Ed è stato detto in maniera molto precisa e più volte dalla Presidente von der Leyen e dai Commissari, in particolare da Paolo Gentiloni, che è il responsabile in Europa di questo provvedimento".

Invece per il presidente di Symbola nel piano italiano "i fondi stanziati per la transizione verde nell'ultima proposta sono molto meno del 37% assegnato dall'Europa a questa partita, secondo il quadro di finanziamenti presentato avrebbero dovuto essere 82 mld di euro e sono invece 68. E non va bene, l'Europa ci avrebbe rimandato indietro quel piano. Aggiungo che, come recentemente ha detto Gentiloni, e guardando già a dove lavorerà Draghi, mancavano molti riferimenti su tempi, obiettivi e progetti. In particolar mondo per la parte prevalente della transizione verde non sono indicati obiettivi e i capitoli di bilancio indicati in qualche caso sono già coperti, vedi incentivi sull'edilizia, ma non si dice "vogliamo arrivare entro tot tempo a questa percentuale di fonti rinnovabili, a questa riduzione del consumo di energia dei cicli produttivi". Non si è quindi capito che per l'Ue la transizione verde non è una propensione ad essere più buoni degli altri ma è una scelta ambiziosa, pensiamo all'obiettivo dell'azzeramento delle emissioni al 2050 assunto dopo l'Europa anche dal Giappone, dalla Corea, dalla Cina (al 2060..)e adesso arriva anche l'America di Biden. E questa scelta, che significa mobilità elettrica o chimica verde, significa collocare l'Europa su una frontiera competitiva che è quella che caratterizzerà il futuro. Questo a mio avviso non si è capito e non traspare in maniera chiara dalle scelte italiane sul Recovery Plan". "Aggiungo che c'è un problema enorme, sottovalutato, su cui tutti sono d'accordo nell'indicare la priorità ma pochi forniscono soluzioni, che è quello della lentezza dei nostri processi burocratici - conclude Realacci -, come è noto l'Italia è già all'ultimo posto in Europa nell'utilizzo dei fondi comunitari, in particolar modo guardando al Recovery Plan, figlio di una scelta strategica e coraggiosa quanto combattuta, l'Europa fissa dei paletti molto forti. Entro 2 anni bisogna infatti avviare le azioni, le risorse vengono date sulla base dell'avanzamento dei progetti e entro 6 anni questi progetti vanno portati a termine. Sono tempi che se non si cambia e non si fa capire al paese che quello è l'orizzonte diventano proibitivi. Oggi infatti per avere una autorizzazione per un impianto eolico ci vogliono in media in Italia 5 anni. Siamo completamente fuori da questo tipo di progettualità. Ce la possiamo fare, perchè abbiamo una economia già orientata più di altre sul terreno della sostenibilità, del risparmio energetico, siamo di gran lunga la prima potenza europea per economia circolare e questo ci fa risparmiare tantissimo anche in termini di energia. Ma abbiamo necessità di ridefinire una rotta credibile".

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