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Prima la pandemia ha bloccato il settore turistico, poi, l’impossibilità di viaggiare ha messo in discussione il turismo di massa, aprendo ad un orizzonte nuovo: la possibilità che, quando #torneremoaviaggiare, lo faremo con più responsabilità. Mentre l’Organizzazione Mondiale del Turismo lavora per una riapertura sostenibile del settore puntando sul concetto di ‘fiducia’, il settore privato pullula di iniziative in cui le piccole comunità e la valorizzazione delle identità locali sono al centro dell’offerta turistica.

Realizzato in collaborazione con Valeria Morea e Michele Trimarchi, Tools for Culture.
Questo contributo fa parte della rubrica #iosonocultura,  parte del Decimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

 

© Annie Drew

Il 2020 passerà agli annali come l’anno in cui sono accadute troppe cose (siamo ancora nella prima metà, e già per i cronisti e gli storici c’è materiale in abbondanza).

L’irrompere di una crisi generata da un nemico invisibile, e in buona parte sconosciuto, indebolisce le certezze e altera le percezioni. Si risponde all’emergenza con misure straordinarie confidando che le cose possano tornare come prima. A fine marzo, l’occupancy rate (notti in hotel vendute/notti totali disponibili) in Italia è crollato a picco, -96%; e in tutta Europa il declino supera di gran lunga il 50%; il tasso meno sconfortante è fornito da un Regno Unito negazionista dove il calo delle prenotazioni alberghiere risultava ‘soltanto’ del 62%[1].

Al netto dell’impatto grave e complesso che il virus sta producendo su ogni comparto produttivo e commerciale, così come sulle attività sociali, va osservato che è il settore turistico a subire una battuta d’arresto drammatica proprio in un periodo in cui tutti gli esperti concordavano sul trend di crescita previsto per i prossimi anni, tra l’espansione della domanda, la diversificazione dell’offerta e una più versatile gestione del tempo libero dovuta ai nuovi equilibri delle attività tra le dimensioni analogica e digitale, anche grazie al ruolo crescente dell’intelligenza artificiale.

Andava tutto bene, dunque?

Su questo è il caso di essere cauti: gli ultimi anni hanno posto in evidenza questioni che vengono da lontano e finora erano state sopportate, forse sottovalutate, talvolta controbilanciate da un gioco di interessi parziali. L’immagine che più di tutte sintetizza l’incancrenirsi del turismo di massa è Banksy travestito da pittore di strada che, a Venezia, offre ai passanti un polittico un po’ sghembo: una nave da crociera che intasa la laguna. Basta l’immagine perché riaffiori il greve cahier de doléances che vanamente ambientalisti, residenti, tecnici, intellettuali e semplici cittadini hanno cercato di far quanto meno vedere alle istituzioni. E ci si rende conto che i veneziani abitano in grande maggioranza in terraferma, e che moltissimi appartamenti della laguna sono stati trasformati in Airbnb creando non poche difficoltà a studenti e professionisti in cerca di case da prendere in affitto. Oltre alle contingenze spiacevoli come il conto troppo salato per un cappuccino con vista Basilica, le questioni veneziane sono strutturali, né la proposta di contingentare gli ingressi le avrebbe potute affrontare credibilmente. Fatte le dovute proporzioni, questa deriva è intensa dappertutto.

L’interruzione dovuta al lockdown ha generato, come era prevedibile, reazioni viscerali e rapide: la nostalgia per il viaggiare è diffusa e per molti versi ecumenica.

I social network hanno reagito dichiarando fiducia, con l’hashtag #torneremoaviaggiare. In effetti, in una Cina in cui l’epidemia sembrerebbe dissiparsi, riprende la mobilità aerea interna già a partire da marzo[2]. La tecnologia offre indefinite opzioni, già in parte percorse prima del virus nella fase della scelta e della decisione, ormai assistite da certificatori come Trip Advisor, da servizi come Booking e dalla miriade di siti web (realizzati con diverso grado di efficacia e di eloquenza) riferiti alle destinazioni, siano esse istituzionali o commerciali. La supplenza del web è passata, fin dall’inizio della clausura, dalla funzione alla narrazione, provando a consolare viaggiatori tenuti in casa dalle regole e ancor più desiderosi di riprendere a viaggiare. Abbiamo trascorso molto tempo in una Cyburbia[3] ben più colorata e intensa di come l’aveva immaginata Michael Sorkin, architetto e critico scomparso, proprio per complicazioni del virus, nel mese di marzo. La creatività percorre le molteplici opzioni offerte dalla tecnologia.

 

© Annie Drew

Così, dall’indomani del lockdown le reazioni si sono moltiplicate, invadendo i feed di ciascuno con vere e proprie imprese creative, animate dall’obiettivo di portare arte e bellezza (e inevitabilmente luoghi, città, paesaggi e comunità) sul desktop di chi ha dovuto rinunciarvi per il momento, e magari allettando nuovi possibili viaggiatori che finora nessuno era riuscito a incuriosire abbastanza.

La partecipazione culturale è cresciuta, ovviamente.

Mancano tuttavia i dati su quanto già prima della clausura visitatori e spettatori integrassero l’esperienza diretta con interazioni digitali: è del tutto normale che chi frequenta le sale da concerto si goda opere, sinfonie e récital su YouTube o sia addirittura abbonato a siti dedicati come Medici.tv, piattaforma che offre musica classica in streaming, che permette di assistere alle prime in tempo reale e offre un archivio estesissimo che include Glenn Gould e Herbert von Karajan.

È altrettanto prevedibile che quando saremo tornati alla normalità la combinazione tra analogico e digitale sarà la regola, e che musei e teatri, così come città e quartieri, dovranno porsi il problema di generare valore in entrambe le dimensioni, non ponendole più in contrapposizione e comprendendo finalmente che ognuno di noi sa porre in sequenza logica informazioni e fruizioni passando da una dimensione all’altra in base alle circostanze. Ciò mostra l’allungamento e l’espansione del viaggiare, in un modo che fino a poco tempo fa appariva inimmaginabile (al netto dei grandi lettori di racconti site-specific e di diari di viaggio).

In quest’ottica si pone una recente ricerca condotta dal Politecnico di Milano che mette alla luce le opportunità di un modello di offerta turistica basato sul concetto di “turismo senza fine”[4], che grazie all’integrazione di identità territoriali e tecnologia coniuga narrazione, soggiorni e acquisti di prodotti tipici durante e dopo la vacanza. E, per far fronte alla competizione globale e fidelizzare i visitatori, auspica la creazione di una “piattaforma di loyalty turistica nazionale finalizzata a sostenere la domanda”[5]. Per cui, i visitatori di ritorno nel nostro Paese accumulano “crediti” partecipando ad esperienze ricreative e culturali e acquistando servizi turistici e prodotti tipici (pre-, durante e post-visita), che si trasformano in vantaggi come, per esempio, tariffe agevolate o viaggi-extra e simili. Infine, lo studio pone l’attenzione su un’evoluzione potenziale del concetto di turismo: in società che faranno sempre più leva sullo smartworking, le stesse attività lavorative potranno svolgersi sempre più da remoto in luoghi non convenzionali localizzati in postazione turistiche. Quindi non più solo turismo come pausa dal lavoro, ma ambienti turistici che si integrano con le attività lavorative.

La clausura ha cambiato radicalmente – quantomeno per il momento – il nostro rapporto con lo spazio, e in particolare con i luoghi del nostro desiderio di viaggiatori.

Contemplare, sia pure a distanza, i colori del tutto inattesi di città d’arte silenziose, larghe, morbide e cristalline è stato uno shock positivo per tutti. Inevitabile la reazione di chi vorrebbe poterci tornare senza troppi altri visitatori tra i piedi, ecco il dilemma dei prossimi mesi: tornando a muoverci, fino a che punto sapremo dosare l’uso e il godimento degli spazi prima di renderci conto che noi stessi potremmo contribuire a rimettere in moto la macchina perversa, diseguale e costosa del turismo di massa? Qualcuno vorrà visitare Codogno e Vo’, considerandole delle piccole Chernobyl? Chi sarà il primo a produrre una serie televisiva sul virus mostrando luoghi consueti come se li vedessimo per la prima volta? La vera sfida riguarda il possibile spostamento del viaggiare dalle città metropolitane verso le aree interne, prospettiva che appariva già prima del virus, per quanto sommessamente e come tendenza lenta di un turismo più ‘artigianale’ e meno massificato.

L’agenzia ONU per il settore turistico è più che mai all’opera nel guidare i negoziati all’alba delle riaperture. Ha pubblicato delle linee guida[6] che individuano le priorità per una ripresa turistica sostenibile su tutti i fronti. La parola-chiave, non a caso, è trust. Adesso che la folla può far paura, lo stesso approccio al viaggiare cambierà, presumibilmente adottando una scansione più duttile, con ‘blocchi’ di poche giornate spese in località vicine (cittadine, borghi, aree rurali, bacini paesaggistici) nelle quali si può tornare sostituendo l’ansia da collezionisti con uno scambio affettivo verso la comunità del territorio.

Questa tendenza comporterà alcuni effetti piuttosto importanti: una diversa distribuzione dei ricavi tra una miriade di piccoli e medi operatori del turismo, la valorizzazione delle identità locali.

A Vaccarizzo, in Calabria, il MIT - Massachusetts Institute of Technology di Boston sta studiando nuove forme di socialità: «La possibilità di un profondo rinnovamento personale, sociale e globale non è mai stata più reale di oggi. Per il futuro ci è richiesto di attingere a un livello più profondo della nostra umanità» afferma Otto Scharmer, esperto di change management e professore del MIT coinvolto nella ricerca[7].

 

© Museo diffuso dei 5 Sensi di Sciacca

Nell’ottica della valorizzazione delle identità territoriali attraverso il coinvolgimento delle comunità locali, si può fare leva, per esempio, sui numerosi ecomusei e cooperative di comunità diffuse nel nostro Paese. Tra i più promettenti e di recente costituzione, c’è il Museo diffuso dei 5 Sensi di Sciacca, nato (anche per intuizione del giornalista Emilio Casalini, autore del programma RAI Generazione Bellezza) nella primavera scorsa: un museo a cielo aperto che punta sulla popolazione protagonista della narrazione di sé stessa. Grazie a un gruppo di imprenditori, associazioni e cittadini, il museo è partito con una serie di strumenti importanti: una forte riconoscibilità grazie al brand “Sciacca città dei 5 sensi”; una significativa presenza sul web attraverso un portale dedicato ricco di percorsi ed esperienze, la presenza sui social, ma anche su piattaforme internazionali specializzate (8 audioguide su izi.travel e applicazioni a realtà aumentata su Zappar); un’offerta diffusa di esperienze laboratoriali che immergono il visitatore nella tradizione e nell’arte del territorio, facendolo entrare in contatto diretto con la comunità. A febbraio, in piena emergenza Covid, il museo ha dato vita alla Cooperativa di Comunità “Identità e Bellezza”, di cui fanno già parte oltre 20 strutture ricettive, 18 maestri ceramisti, il consorzio Corallo di Sciacca, oltre 40 commercianti del consorzio “Spazio Centro”, i gestori di siti museali, oltre 40 associazioni culturali di Sciacca, ristoranti, pizzerie, bar e pub.

 

© Museo diffuso dei 5 Sensi di Sciacca

Dopo il salvagente dei fondi che il governo assegnerà all’industria turistica per fronteggiare un’emergenza economica della quale forse è la vittima più grave, sarà indispensabile ridisegnare l’impianto legislativo e regolamentare del settore, in modo da orientarlo verso una strategia integrata di valorizzazione delle aree interne, e al tempo stesso verso una politica di ‘riumanizzazione’ delle grandi città d’arte in cui la gestione del territorio dovrà passare verso nuove mappe culturali, sociali e commerciali, superando le concentrazioni che hanno generato congestione, benefici per pochi e costi per tutti, finendo per alienare proprio la comunità residente.

Un ulteriore mutamento che l’impatto del virus sulle nostre cautele può far prevedere tocca la scelta dei mezzi di trasporto.

In merito a ciò, il guru della classe creativa, Richard Florida, ha fornito una lista di capisaldi che le città devono tenere a mente nell’adeguarsi alla rinascita post-covid: infrastrutture, retrofitting, telelavoro, economia locale, protezione del settore creativo[8]. E intanto sul discorso mobilità alternativa tutti sembrano attrezzarsi, dagli Stati Uniti[9], alla Colombia[10], all’Italia. Il treno e la metropolitana, veloci ed ecologici, richiedono un addensamento che molti vorranno evitare, con l’effetto di lasciare il trasporto urbano (e in parte extraurbano) a due soluzioni estreme: l’auto da una parte, la bicicletta e il monopattino dall’altra.

Per quanto i mezzi a due ruote possano affascinare anche gli avvocati della decrescita e siano già molto diffusi nelle città, l’automobile può rappresentare una sfida se l’opzione elettrica esce dall’occasionalità per diventare sistema, il che richiede investimenti e un quadro strategico costruito a livello istituzionale.

Sul piano dell’ospitalità, un altro mutamento riguarderà il peso degli alberghi convenzionali rispetto a forme di alloggio meno standardizzate e pertanto più facilmente personalizzabili.

Già poco prima dell’irrompere del virus Palermo aveva attivato una forma di solidarietà turistica, per iniziativa degli stessi gestori di Airbnb che hanno cominciato a devolvere una parte della propria quota sull’imposta di soggiorno a progetti di quartiere, concepiti e realizzati dagli stessi residenti. L’intuizione è semplice e incisiva: sempre di più il viaggiatore chiede di condividere la vita quotidiana dei posti che visita. Il progetto Ballarò e Danisinni in Transito ha dato il via a sei progetti che promuovono l’esperienza turistica in chiave di creatività artistica, riqualificazione degli spazi pubblici, artigianato[11]. Intanto, è imminente il lancio di Fairbnb in Italia, piattaforma che si pone come “alternativa non estrattiva” ad Airbnb[12]. Le risorse private costruiscono un progetto condiviso della comunità, in quell’alveo fertile che segna l’economia dei prossimi anni enfatizzando il valore delle esperienze comuni (né generalmente pubbliche, né strettamente private). Non sappiamo quando ne usciremo, né siamo sicuri di come saremo una volta contenuto ed eliminato il contagio. Certamente i viaggiatori, l’industria turistica, e le politiche di settore non potranno tornare al passato, e dovranno finalmente prendere atto di un mutamento radicale che il virus ha amplificato, ma del quale fragilità, contraddizioni e conflitti erano già palesi e incisivi. Tra qualche anno si vedrà l’impatto di un cambio di rotta che potrà rendere più efficace e possibilmente equo il sistema turistico.

 

 


[1] Fonte SRT, https://str.com/it

[2]https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-03-06/travel-demand-is-rebounding-in-china-as-virus-worry-recedes

[3] Sorkin, Michael. 1992. Variations on a Theme Park. The New American City and the End of Public Space. Hill and Wang.

[4] Giuliano Noci, Turismo serve un nuovo modello di offerta, Il Corriere della Sera, 21.05.2020.

[5] Ibidem.

[6]https://webunwto.s3.eu-west-1.amazonaws.com/s3fs-public/2020-05/UNWTO-Priorities-for-Global-Tourism-Recovery.pdf

[7]https://o.contactlab.it/ov/2005752/10336/WmrF%2B3PcF5xjCsRPksgj7Ddawgu7DuLbcYtecdBZItTrwLN%2B5NqxqhjTqi5%2Besp0

[8]https://www.brookings.edu/blog/the-avenue/2020/03/24/how-our-cities-can-reopen-after-the-covid-19-pandemic/

[9] https://monocle.com/minute/2020/03/23/

[10] https://gehlpeople.com/blog/public-space-and-public-life-are-more-important-than-ever/

[11] https://intransito.comune.palermo.it/

[12] https://fairbnb.coop/it/

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