Una rivoluzione tecnologica e una rivoluzione editoriale: così è iniziata questa stagione televisiva. Ma davvero il sorpasso delle smart tv sulle televisioni tradizionali e un “telemercato” senza precedenti hanno consegnato ai telespettatori un nuovo panorama televisivo? Il pubblico ha fame di informazione e il piccolo schermo risponde con più inchieste, l’attualità è sempre più mediata da tv e social network (non necessariamente in quest’ordine), mentre l’intrattenimento – Sanremo a parte – arranca ma, quando può, reagisce con l’arma più affilata a disposizione: le idee.
La stagione televisiva è iniziata con una doppia rivoluzione. La prima dal punto di vista tecnologico, ma con un forte impatto – già riscontrabile – sui contenuti. Infatti, a metà novembre c’è stato il tanto atteso sorpasso delle smart tv che, arrivate a quota 21 milioni, hanno superato di 500mila unità le televisioni tradizionali[1].
Nelle case degli italiani, 14 milioni e 800mila famiglie (60,3% del totale) hanno in casa almeno una smart tv; di queste, 3 milioni e 900mila ne hanno due e 1 milione e 100mila ne hanno tre o più: il digitale è dunque sempre più al centro della vita e dei consumi di entertainment della popolazione. Tuttavia, i broadcaster nazionali non si sono fatti trovare impreparati di fronte a questa trasformazione e sono stati capaci di integrare sulle loro piattaforme i programmi dei canali tv, da seguire in diretta o in differita, per intero o attraverso highlight, ma anche con contenuti esclusivi on demand. In questo modo è stato possibile tutelarsi sul versante degli ascolti della televisione lineare e guadagnare quote crescenti di audience sui propri portali e sui dispositivi diversi dagli apparecchi televisivi. I generi più ricercati sulle piattaforme gratuite delle emittenti nazionali sono i film (al primo posto, con il 94,4% degli utenti che li indicano come genere seguito), l’informazione (77,9%), i programmi culturali (77%) e le fiction (70,6%), seguiti poi dallo sport e dai programmi per bambini[2]. Inoltre, per quanto riguarda i consumi mediatici degli italiani, la fruizione della televisione in generale rimane altissima e pressoché stabile, passando dal 95,1% del 2022 all’95,9% del 2023[3].
La seconda rivoluzione televisiva di quest’anno ha riguardato invece i palinsesti: nuovi programmi, nuove collocazioni orarie, linee editoriali profondamente cambiate e soprattutto conduttori – anche storici – sostituiti, traslocati o allontanati. Per fare solo qualche esempio su quest’ultimo punto: Fabio Fazio trasferitosi con il suo Che Tempo Che Fa da Rai3 al Nove; Bianca Berlinguer, dopo oltre trent’anni di Rai, passata alla prima serata di Rete4; Myrta Merlino dalla mattina di La7 al pomeriggio di Canale5; Massimo Gramellini da Rai3 a La7; Nunzia De Girolamo chiamata alla conduzione dell’unica prima serata politica del servizio pubblico; e poi, ancora, Lucia Annunziata che ha lasciato la Rai e Barbara D’Urso fuori dai progetti editoriali di casa Mediaset. L’aspetto più sorprendente, a 70 anni esatti dalla nascita della televisione italiana, è la scomparsa definitiva del legame identitario tra volto e rete che ha da sempre guidato il telespettatore. Quella che si poteva definire “fruizione d’appartenenza” tra telespettatore e canale si è ora trasformata in un patto diretto con la star e il suo storico contenuto televisivo. Infatti, in questo tumulto di cambiamenti, a beneficiarne sono coloro che hanno proposto lo stesso programma su altri lidi, come successo per Fabio Fazio, Bianca Berlinguer (da Cartabianca a È Sempre Cartabianca), Massimo Gramellini (da Le Parole a In Altre Parole) e Corrado Augias. Chi è stato chiamato a un vero cambiamento, invece, ha faticato non poco: Avanti Popolo di Nunzia De Girolamo è stato chiuso a gennaio per problemi di ascolto (una media finale intorno al 2,5%)[4], ma altre difficoltà sono emerse nello spostamento di Serena Bortone dal pomeriggio di Rai1 all’access prime time festivo di Rai3, oppure per il nuovo Pomeriggio Cinque di Myrta Merlino e l’Agorà di Roberto Inciocchi. A giudicare dai risultati, dunque, più che di rivoluzione bisognerebbe parlare di Restaurazione, dove il compromesso tra vecchio e nuovo ha un sapore gattopardesco: tutto deve cambiare affinché tutto resti come prima.
Qualche bagliore di novità sistemica potrebbe affacciarsi nella prossima stagione, quando il discusso passaggio di Amadeus al Nove aprirà un nuovo scenario di analisi per capire se la strategia del gruppo Warner Bros. Discovery Italia sia davvero quella di aprirsi all’intrattenimento generalista per costituire un nuovo polo tv in esplicita concorrenza con Rai e Mediaset. Di certo – e non è detto che sia un bene – l’intenzione è di proseguire questa rotta senza contemplarvi il genere dell’informazione.
Un genere che, in questa stagione, ha mostrato una tendenza inattesa se pur limitata. Dominata ormai da tempo dalla formula del talk show – se ne contano ben nove in prima serata, in una sorta di duopolio tra Rete4 e La7 – l’informazione ha provato a offrire in prime time l’inchiesta. Oltre ai classici Report, Presa Diretta, Indovina Chi Viene a Cena, Le Iene e relativi spin-off, infatti, quest’anno Salvo Sottile ha condotto Farwest e Corrado Formigli con Alberto Nerazzini ha presentato 100 Minuti. La risposta del pubblico, molto positiva per quasi tutti i programmi già affermati, è stata inaspettatamente favorevole anche per le nuove proposte.
D’altro canto, nonostante quella che è stata definita la “riscossa dei social network”, l’informazione passa ancora dal piccolo schermo e i telegiornali restano in testa alla graduatoria dei media attraverso i quali gli italiani si tengono aggiornati con il 48,3% dell’utenza (ma la perdita nell’ultimo anno è di quasi 3 punti percentuali e del 10,8% in meno rispetto al 2019). Come fonte di informazione è importante comunque registrare: l’ascesa dei motori di ricerca, il mezzo più cresciuto nell’ultimo anno (+6,2%) con il 29,6% delle preferenze; l’exploit di YouTube, che dal 2019 al 2023 ha registrato un incremento del 6,6%, per assestarsi nell’ultimo anno su un’utenza pari al 18,5% e Instagram, considerato una fonte d’informazione a tutti gli effetti dal 15,3% degli utenti. Al contrario, è forte il calo dei giornali radio, con solo il 13,7% di utenti[5].
La stagione informativa ha inoltre dovuto affrontare temi di attualità complessi e urgenti. Innanzitutto la guerra in Medio Oriente e lo shock televisivo provocato da un conflitto totalmente inaspettato in questi termini, con immagini brutalmente spettacolari fin dal principio e l’utilizzo mediatico dei bambini, degli ostaggi e della popolazione civile coinvolta. Un tema che ha colpito l’opinione pubblica nonostante, in generale, le notizie dall’estero conservino l’ultima posizione nelle preferenze degli italiani con l’11,8%, superate ampiamente dalla politica nazionale (32,1%), ma anche da life style (31%), sport (29,2%), scienza (29%) e cultura (27%)[6]. E che il pubblico avesse fame di questioni politiche interne lo hanno dimostrato le elezioni di febbraio in Sardegna, un evento dal sapore locale trasformatosi in un grande teleromanzo nazionale: i talk show in quella settimana hanno aumentato anche di 3 punti percentuali i loro ascolti raggiungendo il record di stagione (DiMartedì al 9,9% con 1.680.000 e Agorà al 7% con 376.000)[7]. Uno schema che si è ripetuto a giugno per le elezioni europee, con un dato su tutti: il top di stagione di Piazza Pulita al 9,6% con 1.229.000.
Dal racconto della politica in televisione, poi, alla politica che “avviene” in tv e attraverso la tv. Il 19 ottobre Striscia la Notizia trasmette il primo di una serie di fuorionda imbarazzanti con protagonista Andrea Giambruno, il compagno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Dopo poche ore, la stessa Meloni è costretta a postare sui suoi social un messaggio in cui annuncia la separazione, comunicando una vicenda privata di interesse pubblico in modo del tutto disintermediato. Per la prima volta, dunque, la crisi coniugale di un presidente del Consiglio nasce e si consuma in televisione, trovando il suo epilogo sui social network.
Passando alla cronaca, le reazioni al femminicidio di Giulia Cecchettin segnano uno spartiacque nella funzione televisiva in questo genere. Dopo aver contribuito a un esame di coscienza collettivo con un monte ore senza precedenti sulla vicenda, il piccolo schermo si è trasformato nel vero megafono di un’urgenza sociale anche attraverso trasmissioni che solitamente prediligono altri temi. Il racconto si è fatto particolarmente efficace grazie ai familiari della ragazza, in grado di scardinare quella liturgia da parenti della vittima a cui eravamo stati fin qui abituati: indicando un nemico non fisico ma culturale, infatti, la sorella e il padre di Giulia Cecchettin hanno costretto tutti a interrogarsi e alla richiesta di giustizia si è aggiunta la legittima pretesa di un cambiamento della società. L’onda emotiva – ma anche riflessiva – ha costretto il Parlamento ad accelerare, dato che pochi giorni dopo l’Aula del Senato ha approvato il via libera definitivo (all'unanimità, con 157 sì) al ddl contro la violenza sulle donne, diventato quindi legge. E il giorno dei funerali, quasi un mese dopo il femminicidio, più di metà della platea televisiva era sintonizzata davanti alle trasmissioni speciali delle due ammiraglie, Rai1 e Canale5.
Riguardo l’intrattenimento di questa annata è necessario soffermarsi sui numeri dell’ultimo Sanremo di Amadeus. La media totale delle cinque serate è stata di oltre il 66% di share (l’88% tra i 15-24enni) e 11.400.000 di telespettatori, ma la finale di sabato 10 febbraio è stata vista da ben 14.301.000 e il 74,1% di share, con picchi di oltre 18 milioni e l’89,56%[8]. Per trovare una serata conclusiva più vista in termini di share bisogna tornare al 1995, con Pippo Baudo affiancato da Anna Falchi e Claudia Koll, ma anche con un panorama televisivo così diverso da rendere impossibile il paragone. Oltre agli ascolti, a colpire è l’impatto economico stimato in 205 milioni di euro, con un valore aggiunto (rapportabile al Pil) di 77 milioni, dato che cresce di 6 milioni rispetto alla precedente edizione, principalmente per effetto di una maggiore raccolta pubblicitaria giunta alla cifra record di 60,2 milioni di euro[9].
Festival a parte, l’intrattenimento di prima serata – così come la fiction – si è affidato principalmente ai grandi classici con poche eccezioni. Fra queste, una tendenza inaspettata: il one-woman show. Da sempre un tipo di spettacolo affidato agli uomini (Gianni Morandi, Massimo Ranieri, Rosario Fiorello, Giorgio Panariello, Checco Zalone, solo per restare agli ultimi esempi), in questa stagione Virginia Raffaele, Michelle Hunziker e Chiara Francini hanno sperimentato il genere nell’importante slot della prima serata. La risposta del pubblico non è stata entusiasta: Colpo di Luna di Virginia Raffaele ha ottenuto una buona media del 17,15%, ma ha perso quasi 6 punti dalla prima alla terza puntata; Michelle Impossible condotto da Hunziker ha raggiunto solo 2 milioni di telespettatori con il 14,5%; il Forte e Chiara di Francini è stato addirittura chiuso in anticipo per bassi ascolti, fermi al 12,5% di media[10]. Probabilmente il “one-person show” ha bisogno di una storia televisiva importante del suo protagonista e, soprattutto, soffre la limitata propensione del pubblico al varietà puro, per sua natura privo di quel preciso meccanismo di scrittura a cui hanno ormai abituato i numerosi format internazionali.
Tuttavia, qualcuno è riuscito a intrattenere in modo nuovo. Splendida Cornice di Geppi Cucciari, ad esempio, lo ha fatto utilizzando l’ingrediente più complicato: la cultura. Il percorso non è stato breve e sono servite tre edizioni, ma ora il programma di Cucciari è un cumulo di idee brillanti pensate al servizio della sua classe in conduzione, tra gag scritte, improvvisazione e interviste efficaci. E il 6,7% dell’ultima puntata (1.152.000 di telespettatori, con un trend in costante crescita) certifica la riuscita dell’operazione.
Sempre basato su un’idea forte – questa volta di importazione – è Casa a Prima Vista (adattamento del format francese Chasseur D'Appart), un altro programma paradigmatico targato Real Time. In onda nella competitiva fascia dell’access prime time, la seconda stagione ha raggiunto picchi di 800mila telespettatori e il 3.6% di share (con punte del 4%), riuscendo a superare alcuni consolidati talk show rivali delle reti generaliste. La competizione nel programma vede in ogni puntata tre agenti immobiliari sfidarsi per soddisfare le richieste di clienti in cerca di una casa adatta alle loro esigenze. La possibilità di entrare sia in case da sogno sia in dimore molto realistiche, di spiare il mercato immobiliare di Milano sempre al centro di polemiche e, soprattutto, la grande passione degli italiani per il mattone hanno reso questo piccolo programma un vero cult tra tv e web.
Fra finte rivoluzioni e nuove Restaurazioni, dunque, la tv sembra comunque ancora in grado di offrire contenuti adeguati. A patto, parrebbe ovvio, di perseguire una certa originalità, anche nella riproposizione dei prodotti più classici. Lo ha riassunto bene Fiorello nel suo congedo da Viva Rai2!, programma da lui chiuso quest’anno nonostante il grande successo di pubblico e critica: “Ci si rivede alla prossima idea”. Un saluto personale che sa di monito collettivo.
Suggerimenti per il lettore
- Carlo Solarino, La post-televisione. Strumenti, piattaforme e regole nell'era del video in Rete, Audinio, 2023.
- Giorgio Simonelli, Quasi gol. Storia sentimentale del calcio in tv, Manni, 2024.
- Alice Valeria Oliveri, Sabato Champagne, Solferino, 2023.