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di Fondazione Symbola e MASAF

Unica regione del centro-sud a non essere bagnata dal mare, l’Umbria è conosciuta come “il cuore verde d’Italia” per via dei suoi paesaggi, siano essi agricoli o boschivi. Prevalentemente montana e collinare, la regione presenta infiniti pendii ricoperti da fitti boschi e intervallati dai panorami agricoli della Valle Umbra e della Valle del Tevere, dove nascono specialità enogastronomiche e prodotti di eccellenza come oli, vini e salumi IGP.

Foreste e boschi

Degli 8.464 kmq di superfice dell’Umbria, ben 4.140 sono ricoperti da boschi e foreste, ovvero il 49%. Dopo l’Emilia-Romagna, l’Umbria è la seconda regione italiana più alberata con 1.815 alberi per ettaro, in prevalenza cerri, lecci, roverelle, carpini neri, ornielli. Pur non essendo particolarmente estesa, la regione è ricca di boschi e foreste tutelate da 7 aree naturali protette. Tra i comuni di Preci e Norcia, entrambi in provincia di Perugia, i boschi di faggio arrivano fino ai Piani di Castelluccio, l’altipiano che prende il nome dalla frazione di Norcia nota per la sua lenticchia IGP e dove ogni anno, tra la fine di maggio e la metà di luglio, migliaia di turisti vengono ad assistere allo spettacolo della fioritura. Le lenticchie, i papaveri, le violette, i fiordalisi e i narcisi disegnano infatti un paesaggio incantato dove il rosso, il viola, il blu e il giallo danno vita ad un’esplosione di colori e sembrano dipingere un quadro astratto sul manto erboso dell’altipiano. Sempre sulla Piana di Castelluccio, poi, a ridosso del Pian Grande, è visibile un bosco di conifere che disegna il profilo dell’Italia, piantate nel 1961 in occasione del centenario dell’Unità d’Italia. Quest’area è la propaggine sudoccidentale del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, che si si estende per più di 70.000 ettari sull’Appennino Centrale, a cavallo tra Umbria e Marche. Sulle pendici del Monte Cucco, a quota 1.000 metri sul livello del mare, si trova la Madre dei Faggi, una delle faggete più antiche d’Italia, che si estende su 30 ettari ed è caratterizzata da alberi dall’altissimo fusto e cespugli di agrifoglio. Scendendo di quota gli alberi predominanti sono il carpino, l’orniello, l’acero, il frassino. La Madre dei Faggi, così come i boschi che si trovano sui pendii del monte, sono parte del Parco Naturale Regionale del Monte Cucco, che interessa il territorio di quattro piccoli comuni lungo la via Flaminia: Fossato di Vico, Scheggia e Pescelupo, Sigillo, Costacciaro, tutti nella provincia di Perugia. A Monteluco, frazione di Spoleto (PG), si trova il Bosco Sacro, una lecceta che i romani consideravano sacra a Giove, come confermato dal nome stesso del luogo: Monteluco deriva infatti dal latino “lucus”, ovvero bosco sacro. Qui, nell’800, è avvenuto il ritrovamento della prima legge scritta a tutela di una foresta. Si tratta della Lex Spoletina, una pietra calcarea con un’iscrizione in latino che proibisce di profanare il bosco, il cui testo si apre con queste parole: “Questo bosco sacro nessuno profani, né alcuno asporti su carro o a braccia ciò che al bosco sacro appartenga, né lo tagli, se non nel giorno in cui sarà fatto il sacrificio annuo”. L’originale è conservato nel Museo Archeologico di Spoleto, ma una riproduzione è stata collocata nel bosco. Anche nel medioevo il Bosco Sacro di Monteluco ospitò numerosi anacoreti ed eremiti, che si ritiravano in preghiera nelle grotte e negli eremi nascosti all’ombra dei lecci. L’eremo più noto di Monteluco è sicuramente quello di San Francesco, che secondo la tradizione venne fondato dal Poverello di Assisi nel 1218, attorno alla cappella di Santa Caterina, che gli era stata donata dai Benedettini.

Alberi Monumentali

In tutto gli alberi monumentali dell’Umbria sono 168, di cui soltanto 24 all’interno di piccoli comuni. Oltre all’immancabile roverella, tra i monumenti verdi della regione i più rappresentati sono due alberi tipici del paesaggio agricolo umbro, ovvero il cipresso e l’ulivo. Se il primo svolge una funzione ornamentale, formando i caratteristici viali che delimitano i campi e portano ai casolari delle campagne umbre, il secondo è da sempre una pianta fondamentale per l’economia della regione, dove si produce un olio di altissima qualità, tutelato attraverso consorzi e pubblicizzato con iniziative quali l’istituzione della strada dell’olio extravergine d’oliva DOP Umbria. Presso una delle tappe di quest’itinerario gastronomico, nel piccolo borgo medievale di Giano dell’Umbria (PG), cresce un leccio secolare la cui nascita è raccontata da una curiosa leggenda popolare. La pianta si trova infatti accanto all’Abbazia di San Felice, dove riposa il martire cristiano cui è appunto dedicato il monastero. Nel chiostro dell’abbazia sono raffigurate diverse scene della passione del santo e in particolare, nell’affresco denominato “inginocchiatura dei tori”, si vedono due buoi che trainano il carro con la bara di San Felice che si inginocchiano alla vista del luogo della sepoltura. Secondo la tradizione, quando il conducente del carro piantò in terra il bastone col quale scudisciava gli animali, questo iniziò a germogliare come per miracolo dando vita al ceppo da cui sarebbe nato l’attuale leccio. Nel piccolo comune di Campello sul Clitunno, in provincia di Perugia, dove nasce l’omonimo fiume la cui limpidezza delle acque è descritta da poeti romani come Virgilio, Properzio, Giovenale e, in tempi più recenti, da Giosuè Carducci, nello splendido scenario del parco delle Fonti del Clitunno cresce un gruppo di rari cipressi calvi. Gli alberi, originari del Golfo del Messico e della Florida, vennero piantati nel parco a metà dell’800 dal botanico e agronomo Francesco Francolini, quando si diffuse la moda di importare piante esotiche per creare parchi e giardini che potessero vantare rarità provenienti da ogni angolo del mondo. Il cipresso calvo, che trova nella vicinanza con laghi e corsi d’acqua il suo habitat ideale, ha radici aeree che permettono alla pianta di ricevere l’ossigeno anche quando il terreno è allagato e deve il suo nome al fatto che in inverno, a differenza dei cipressi comuni, perde completamente le foglie. Un altro albero monumentale legato alla tradizione religiosa, e a quel connubio tra spiritualità e natura tanto forte in questa regione, è il leccio della Romita di Cesi, eremo del comune di Terni. La Romita, circondata da una impenetrabile e rigogliosa foresta di lecci, venne fondata nel 1213 da San Francesco d’Assisi, che per un periodo abitò in una piccola grotta nei dintorni. La tradizione vuole che quando il Patrono d’Italia salì per le leccete del Monte Torre Maggiori, gli alberi si inchinarono al suo passaggio e che proprio in questo luogo il Santo trasse l’ispirazione per comporre le prime bozze del Cantico delle Creature. Immerso nel bosco a quasi 800 metri di altitudine, il leccio mostra su di sé tutti i segni della vecchiaia. Il fusto è completamente cavo e inclinato, la corteccia è affetta da necrosi e presenta diverse irregolarità dovute a carie e altre malattie, mentre la chioma è piccola e con ormai poche foglie. Eppure, proprio quest’aspetto così sofferente e vetusto dona all’albero un’aura di venerabilità e sacralità che ben si concilia con la spiritualità dell’eremo e dei boschi che lo circondano.

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