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di Giovanna Mancini – Giornalista del Sole 24 Ore

La complessità del nostro tempo ha definitivamente messo in crisi il mito leonardesco del genio in grado di dominare, potenzialmente, ogni disciplina e ogni forma di sapere. Un’evidenza che, traslata in campo economico e produttivo, vale anche per le imprese. La rivoluzione tecnologica dell’era digitale ha reso evidente l’impossibilità, per un unico soggetto, di governare il processo produttivo nella sua interezza, portando a un’iper-specializzazione delle competenze. Al tempo stesso, la globalizzazione ha reso sempre più accessibili e veloci catene di fornitura su scala mondiale che, per quasi tre decenni, hanno avvantaggiato le imprese trasformatrici dell’Occidente, consentendo loro di attingere apparentemente senza limiti a materie prime o produzioni di base a basso costo.

Poi è arrivata la pandemia di Covid-19 e qualcosa, in questo meccanismo, si è spezzato. Una frattura così profonda che, a distanza ormai di quasi quattro anni, non si è ancora ricomposta, ma è stata anzi approfondita dagli eventi successivi, come la guerra tra Russia e Ucraina o le tensioni in Medio Oriente. Tanto da far ritenere a economisti e analisti politici che, ormai, quel paradigma di globalizzazione sia tramontato per sempre.

Tutto questo ha avuto profonde ripercussioni sul tessuto industriale europeo e italiano in particolare. La rottura delle catene globali di fornitura, unita all’impennata dei costi dell’energia e delle materie prime, ha messo a rischio la competitività di intere filiere produttive. Da qui, l’interesse crescente delle imprese manifatturiere ad aumentare il controllo sulle catene del valore, attraverso tradizionali operazioni di M&A per integrare al proprio interno pezzi di filiera, oppure attraverso forme più innovative di coesione e collaborazione. Contestualmente, l’evoluzione sempre più rapida e sofisticata delle tecnologie ha spinto molte realtà produttive a cercare all’esterno competenze e strumenti mancanti, anche in questo caso ricorrendo ad acquisizioni oppure a partnership lungo la propria filiera o lungo un asse orizzontale, costruendo sinergie anche con imprese competitor, in grado di completare la propria offerta e il proprio know-how.

Infine, la grande sfida di uno sviluppo sostenibile sta imponendo alle aziende non solo di perseguire al proprio interno i criteri ESG (Environment, Sustainability e Governance), ma anche di promuoverne l’adozione lungo l’intera filiera, dando vita a un circolo virtuoso per cui le aziende capo-filiera si impegnano a migliorare gli standard produttivi e qualitativi dei propri fornitori, mettendo a disposizione strumenti e risorse, e al tempo stesso beneficiano dei progressi da essi fatti, in un processo win-win che sta trasformando la nostra industria. Il principio di coesione si sta dunque imponendo non in alternativa, ma anzi come fattore abilitante per una competizione che si gioca sempre meno dentro ai confini nazionali o europei e sempre più su scala mondiale.

La spinta all’internazionalizzazione, fondamentale per un Paese trasformatore ed esportatore come l’Italia, è stata a lungo una delle ragioni principali di aggregazione tra aziende, necessaria per fare massa critica o promuovere iniziative comuni sui mercati esteri.

Tra i tanti esempi, citiamo quello di Iswa (Italian Signature Wine Academy), un’alleanza nata nel 2014 tra nove produttori italiani di vino, accomunati da livello qualitativo, lunga tradizione familiare, controllo diretto delle aziende e sede nelle denominazioni o territori più prestigiosi del vino italiano: Villa Sandi e Allegrini (Veneto), Fontanafredda (Piemonte), Arnaldo Caprai (Umbria), Bellavista (Lombardia), Frescobaldi (Toscana), Feudi di San Gregorio (Campania), Planeta (Sicilia) e Masciarelli (Abruzzo). In dieci anni di attività, i membri di Iswa hanno creato sinergie nella promozione e nello sviluppo commerciale su scala internazionale, elaborando progetti su canali di vendita nuovi e mercati difficili da penetrare da soli.

La promozione e valorizzazione all’estero di piccoli artigiani ha dato vita anche all’esperienza di Velasca, piattaforma e-commerce fondata nel 2013 a Milano, che oggi vende in tutto il mondo calzature da uomo prodotte in piccoli laboratori, soprattutto marchigiani. Un’esperienza che ricalca quella intrapresa da Lanieri, fondata a Torino nel 2012, che esporta in oltre 50 Paesi i capi di abbigliamento realizzati con tessuti italiani di marchi di alta gamma come Zegna, Loro Piana e Reda.

Esistono diversi modelli di attuazione della coesione tra imprese. Il più diffuso è il modello verticale, in base al quale una grande azienda che si colloca a valle della catena del valore (la capo-filiera) si fa promotrice dell’iniziativa che coinvolge le aziende a monte, trasformando i propri fornitori in partner del progetto o del processo. Non mancano tuttavia esempi di coesione orizzontale, tra soggetti che operano nello stesso punto della catena del valore e decidono di condividere competenze o strumenti produttivi per rendere più competitiva la propria offerta o per aumentare la propria massa critica. Sempre più diffuse sono inoltre alleanze nei processi commerciali e di marketing, che fanno leva su comuni piattaforme tecnologiche abilitanti. O, ancora, sinergie sul fronte della formazione e della messa in comune di saperi o di macchinari all’avanguardia.

Si osserva tuttavia un denominatore comune, trasversale alla maggior parte di queste esperienze: la sostenibilità. Spinta da una maggiore sensibilità da parte delle nuove generazioni di consumatori, imprenditori e manager, oppure resa ineludibile dalle nuove normative europee in ambito green – la necessità di certificare come sostenibile l’intero ciclo produttivo ha portato un numero crescente di aziende a promuovere progetti per garantire il rispetto degli obiettivi sociali e ambientali da parte dei propri fornitori, mettendo loro a disposizione competenze o risorse per favorire le azioni necessarie.

Gefran, ad esempio, gruppo specializzato nella produzione di sistemi per l’automazione dei processi, dal 2021 affianca i fornitori locali nella realizzazione di azioni per ridurre l’impatto ambientale e sociale delle attività produttive, chiedendo in cambio l’impegno a sviluppare un progetto nell’ambito delle energie rinnovabili, dell’efficientamento energetico, o del packaging e della mobilità sostenibili. L’iniziativa, che rientra nel Piano strategico per la sostenibilità del gruppo, sarà estesa, nel 2025, anche ai fornitori di altri Paesi in cui Gefran ha impianti produttivi.

Nel settore agroalimentare, citiamo il caso di Fratelli Carli, prima azienda italiana a ottenere la certificazione B Corp e dal 2019 società benefit. Dopo un percorso sviluppato assieme ai propri fornitori per analizzare e migliorare il grado di sostenibilità di ciascuno, lo scorso anno ha deciso di dare vita a un «distretto benefit». Un soggetto non giuridico, ma etico, che comprende oltre 50 piccole aziende impegnate a rispettare i principi definiti dal «Codice di bontà» del gruppo ligure. In particolare, ai fornitori è richiesto di migliorare la sostenibilità nelle fasi produttive e di ridurre la quantità di materiali utilizzati, aumentando la quota di materie prime e seconde riciclabili.

Di diversa natura, ma sempre in ambito sostenibilità, sono le esperienze di due medie aziende italiane, Gruppo Saviola e Omsi: specializzata nella produzione di pannelli in legno la prima e in quella di seggiolini in plastica da stadio la seconda, entrambe le aziende utilizzano esclusivamente materiali riciclati, che ottengono da imprese o da impianti sportivi per i quali lo smaltimento degli scarti sarebbe un problema e un costo. Grazie ad accordi di collaborazione per il conferimento dei materiali dismessi, Saviola e Omsi aiutano i fornitori a risolvere tale problema, garantendo al tempo stesso il proprio approvvigionamento di materia prima seconda.

Ci sono poi forme di coesione orizzontali, promosse cioè da piccole o medie realtà disposte a bussare anche alla porta dei propri competitor per integrare competenze, risorse ed energie, allo scopo di rilanciare una filiera o un territorio, o anche soltanto di rafforzarne la competitività e preservarne la tradizione industriale. È quello che è accaduto in anni recenti nel distretto veneto delle giostre o in quello pratese dei tessuti,[2] dove la scelta di condivisione e integrazione delle imprese ha permesso di ricostruire comparti produttivi in declino.

Si tratta di un modello a cui guardano in particolare i settori più tecnologicamente avanzati, in cui è difficile che un’unica azienda possa avere al proprio interno tutte le conoscenze per affrontare le continue innovazioni e trasformazioni. Non essendoci sempre le condizioni, la volontà o la convenienza a procedere con operazioni di M&A, si ricorre spesso ad alleanze strategiche, come quella siglata nel febbraio 2024 tra due “big” come Leonardo e Comau, per sviluppare progetti all’avanguardia in ambito aerospaziale.

O come la partnership promossa nell’autunno 2023 da Osai, azienda torinese specializzata in soluzioni di automazione a controllo numerico, che ha avviato un progetto di collaborazione con un gruppo di aziende di lunga tradizione, a conduzione familiare e storicamente radicate nei propri territori di appartenenza, operanti nel settore dell’automazione, ma complementari tra loro: Samac di Vobarno (Brescia), Abl Automazione di Gussago (Brescia), Automazione Industriale Brc di Acqui Terme (Asti), El-Sy di Settimo Torinese e Ats di Orbassano. L’obiettivo è mettere a fattor comune competenze, mezzi di produzione e rete commerciale per ottenere grandi commesse in diversi ambiti dell’automazione industriale, tra cui l’e-mobility, in Italia e all’estero.

All’altro capo del Paese, in Calabria, tre giovani imprenditori hanno dato vita dieci anni fa a Nido di seta, una cooperativa agricola che è riuscita nell’obiettivo di ricostruire e rilanciare la filiera serica di San Floro, in provincia di Catanzaro. L’azienda si appoggia infatti a diverse realtà artigiane del territorio per le proprie forniture e l’anno scorso ha siglato un accordo con Gucci, che si è impegnata non solo ad acquistare le filature biologiche della cooperativa, ma anche a sostenere lo sviluppo della filiera di San Floro.

Quella della moda è del resto uno dei comparti industriali in cui le pratiche di coesione, condivisione e sinergia sono maggiormente diffuse, in particolare sul fronte della ricerca, della sostenibilità e della formazione. Si segnala in questo senso il Gucci Circular Hub inaugurato a febbraio 2023, in cui il gruppo ha investito oltre 15 milioni di euro per promuovere il riutilizzo degli scarti della lavorazione, con l’obiettivo di dare vita a una piattaforma di open innovation che massimizzi il riuso dei materiali, la durabilità e la riciclabilità a fine vita dei prodotti, contribuendo inoltre a ridurre le emissioni.

Un’esperienza orizzontale è invece quella intrapresa nel 2022 da un gruppo di aziende del distretto biellese del tessile attive da oltre 50 anni (DBT Fibre, De Martini, Marchi & Fildi, Filidea, Di.Vè, Pinter Caipo, Maglificio Maggia e Tintoria Finissaggio 2000), che hanno dato vita a Magnolab, mettendo in condivisione una rete di impianti pilota (installati nella sede di Cerrione), attraverso cui sviluppare in modo collaborativo prodotti e processi innovativi e sostenibili.

Come abbiamo visto, i fattori che spingono le aziende alla coesione sono numerosi: la necessità di un maggiore controllo sulle forniture; la spinta all’internazionalizzazione; l’innovazione tecnologica, che richiede e al tempo stesso favorisce maggiore integrazione e nuove forme di collaborazione tra produttori; la sostenibilità, che anch’essa necessita e insieme favorisce l’evoluzione di tutta la filiera. È quest’ultimo elemento, tuttavia, quello che sembra assumere una crescente importanza e che probabilmente nei prossimi anni sarà il principale motore di modelli collaborativi tra le imprese. La condivisione dei saperi e delle esperienze sarà infatti decisiva per rispondere alla crescente domanda di trasparenza, tracciabilità e sostenibilità dei prodotti che proviene dai consumatori, ma anche dalle istituzioni europee, dai committenti pubblici e degli istituti finanziari, che sempre più spesso inseriscono i requisiti ESG come elementi qualificanti per la concessione di credito o di credito agevolato.

[2] Si veda: Fondazione Symbola – Unioncamere – Intesa Sanpaolo, Coesione è competizione 2023.

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