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di Giovanna Mancini - giornalista del Sole 24 Ore

Gli effetti sull’economia globale del Covid-19 e della guerra in Ucraina hanno accelerato la tendenza, già in atto tra le imprese, di promuovere esperienze di coesione e collaborazione finalizzate ad accorciare le filiere produttive, condividere competenze, tecnologie e obiettivi, dando vita a un sistema più integrato e competitivo. La crisi delle catene di fornitura innescata dalla pandemia ha infatti reso evidente che gli eccessi della globalizzazione, tra cui l’offshoring, ovvero la produzione affidata a terzi in Paesi terzi, hanno reso vulnerabile il sistema delle imprese europee. Comprese quelle italiane, sebbene il nostro Paese abbia conservato un tessuto ricco di aziende familiari, radicate nel territorio, in cui i distretti e i riferimenti locali mantengono un ruolo fondamentale. Nonostante i distretti industriali rappresentino circa un terzo della produzione manifatturiera italiana e nonostante le imprese distrettuali siano caratterizzate da catene produttive corte, la carenza di materie prime e componentistica nel periodo post-Covid ha fortemente rallentato il sistema produttivo, rischiando in alcuni casi di far implodere interi settori.

La guerra in Ucraina, con la crisi energetica e la carenza di materie prime che ne sono conseguite, ha accentuato questo fenomeno, rendendo ancora più evidente come la dipendenza energetica e produttiva dall’estero rappresenti la principale incognita per il futuro di qualunque sistema o azienda. In questo contesto, si è consolidata la tendenza delle imprese a mettersi in relazione tra loro, sia attraverso modelli codificati (come i Contratti di rete o i finanziamenti di filiera), sia attraverso iniziative di collaborazione spontanea nate negli ultimi anni. Un fenomeno di ricerca di un terreno comune di azione che non va confuso con la solidarietà o la mutua assistenza, ma rappresenta l’elaborazione di strategie condivise in grado di aumentare la solidità dei soggetti coinvolti. La fiducia è diventata un asset a tutti gli effetti e un fattore di competitività, come dimostrano i casi descritti di seguito.

L’osservazione del sistema produttivo italiano degli ultimi anni restituisce almeno due tipologie di esperienze collaborative. La prima è di tipo verticale, “top-down” nella fase dell’iniziativa, con le capofila che predispongono strumenti di collaborazione (industriali, finanziari o tecnologici) con i fornitori o con altre imprese del territorio, che diventano partner a tutti gli effetti. A questa tipologia appartiene, ad esempio, l’iniziativa lanciata dall’azienda umbra Brunello Cucinelli, che ha predisposto un progetto per finanziare gli abbellimenti dei luoghi di lavoro delle imprese del suo territorio, in linea con il suo Progetto per la Bellezza, che vede l’impresa come custode del borgo. Grazie a prestiti erogati da Bnl Paribas e garantiti da Cucinelli, le aziende che collaborano con il gruppo della moda di Solomeo possono chiedere fondi per migliorare l’estetica e la fruibilità degli ambienti lavorativi. Una seconda tipologia, di tipo orizzontale, punta a unire competenze differenti attorno a progetti condivisi, per la produzione di prodotti o l’erogazione di servizi all’interno di una stessa specializzazione industriale o uno stesso territorio. Per entrambe le tipologie, il coinvolgimento delle altre imprese riguarda sia gli aspetti produttivi (come know-how, competenze e tecnologie) sia a livello di obiettivi (elevare standard di sostenibilità, inclusività, ecc…).

Nella tipologia “verticale” rientrano due esperienze simili tra loro per la natura delle imprese promotrici: Eni e Leonardo, due multinazionali attive sui mercati globali e a controllo pubblico. Dopo aver testato l’efficacia dei basket bond per l’erogazione di credito alle piccole e medie imprese finalizzato agli investimenti in sostenibilità, Eni ha lanciato a marzo 2023 il programma di Sustainable Supply Chain Finance, che consente ai fornitori di accedere al pagamento anticipato delle fatture a patto di impegnarsi in un percorso di sviluppo sostenibile. Il risultato è stato il miglioramento nella gestione finanziaria e il raggiungimento degli obiettivi ESG da parte dei fornitori che, in questo modo, hanno a loro volta contribuito ad abbassare la carbon foot print della stessa Eni. Questo progetto (supportato finanziariamente da Crédit Agricole e Unicredit) esemplifica il valore di reciprocità della coesione all’interno di una filiera, per cui il prendersi cura delle imprese più piccole, da parte delle imprese capofila, non è solo una scelta etica, ma genera un vantaggio per le capofila stesse.

In modo analogo, Leonardo ha lanciato nel 2020 il progetto Leap (Leonardo Empowering Advanced Partnership) rivolto alle imprese fornitrici, allo scopo di gestire l’intera supply chain e aumentare performance operative e competitività dei propri fornitori. Nel 2021, il programma ha aggiunto anche target di sostenibilità che aumentano le performance ESG dei fornitori e quindi, come nel caso precedente, della stessa capofila. Nella prima fase del progetto hanno aderito 500 imprese fornitrici, su un totale di quattromila, ma il trend è in continua e veloce crescita, a testimonianza dei benefici che le PMI aderenti ne hanno tratto, sia nella reperibilità di materie prime e componenti, sia nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, che sempre più spesso sono elementi richiesti dalle banche per ammettere l’erogazione di credito agevolato, oppure dagli enti pubblici per l’assegnazione di gare d’appalto.

Molte esperienze di questo tipo sono state favorite negli ultimi anni da programmi di finanziamento pubblici e privati che inseriscono proprio la coesione come uno dei criteri determinanti per accedere ai fondi. È il caso dei più recenti bandi europei rivolti alle imprese, in diversi ambiti manifatturieri, ma anche dei Contratti di filiera promossi in Italia dal Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (Masaf) in collaborazione con Cassa depositi e prestiti. Anche alcuni istituti di credito, come Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno da tempo avviato programmi di sviluppo delle filiere che prevedono condizioni agevolate di finanziamento alle piccole e medie imprese che aderiscono a contratti stipulati con un capo-filiera, che si fa garante nei confronti dei propri fornitori.

Condivisione e salvaguardia delle competenze e dei saperi tradizionali di un territorio sono due fattori decisivi nella spinta a creare sistemi economici coesivi, che possiamo far rientrare nella seconda tipologia di relazione, quella orizzontale. In un mondo produttivo sempre più complesso e iper-specializzato, è impossibile per le piccole e medie imprese avere al proprio interno tutte le conoscenze e le tecnologie necessarie per restare competitive. Da qui la necessità di unire le forze per creare progetti o prodotti sempre all’avanguardia, ma anche la volontà di preservare i saperi del territorio che, nel caso di implosione di una filiera, rischierebbero di andare perduti, come è accaduto in molti distretti manifatturieri italiani in seguito alla crisi del 2008-2011.
Un esempio virtuoso è quello del distretto veneto delle giostre, nato alcuni anni fa dalla collaborazione tra un centinaio di piccole e piccolissime aziende che, proprio grazie alla condivisione di competenze e specializzazioni anche molto diverse tra loro, sono riuscite a restare competitive in un’industria del divertimento in continua evoluzione. Oggi il distretto fattura oltre 200 milioni di euro, di cui il 98% realizzato all’estero, e dà lavoro a più di 1.500 persone.

Nella relazione di tipo “orizzontale” rientrano anche le esperienze di due aziende marchigiane, Trackting e Concerie del Chienti. La fanese Trackting, originariamente attiva con il nome di Eikon nella geolocalizzazione delle flotte, ha convertito la sua attività nella produzione di tracciatori-antifurto per moto e biciclette di alta gamma, utilizzando solo componentistica fornita da produttori locali, che erano stati travolti dalla crisi del “made in Marche” nell’ultimo decennio. Oggi Trackting produce i propri tracciatori assieme ad aziende che sono state in passato fornitrici della Antonio Merloni e della tedesca Gt, produttrice degli impianti audio per auto ad alte performance. Questa esperienza ha dunque permesso di valorizzare il tessuto di competenze territoriali nell’ambito dell’elettronica, per realizzare un prodotto made in Italy competitivo in un settore dominato dalle imprese asiatiche.

Poco più a Sud, nel Maceratese, Conceria del Chienti (CTC) ha dato vita invece a una filiera della pelle a chilometro zero. Un accordo con gli allevatori di bovini del territorio, siglato a dicembre 2022, garantisce a CTC la fornitura di pelli di razza bianca marchigiana, da trasformare per poi essere venduta alle imprese di pellettiera e ai calzaturifici del distretto. Conceria del Chienti (salvata un anno fa dal fallimento grazie all’intervento di Invitalia e del club deal AVM Sustainability, che l’avevano rilevata dalla proprietà cinese) è controllata al 15% da una cooperativa di dipendenti. Il piano industriale triennale spingerà il fatturato da 2,5 a 23 milioni, porterà gli occupati da 21 a 54 e prevede tra gli obiettivi anche l’utilizzo delle tecnologie per migliorare l’impatto ambientale della conceria, aumentando così la sostenibilità dell’intera filiera. Anche in questo caso, la messa in relazione delle competenze radicate in un territorio ha consentito il salvataggio e il rilancio di una singola impresa, ma è destinato anche a migliorare la competitività della filiera.

La sostenibilità è diventata un fattore che porta le aziende ad entrare in relazione: l’elaborazione di progetti condivisi spesso nasce dalla necessità di migliorare e rendere più efficace l’utilizzo delle risorse in un’ottica di economia circolare in cui il nostro Paese (storicamente privo di materie prime) è leader in Europa. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla riorganizzazione delle filiere produttive, sia per la produzione di energia rinnovabile (che può portare anche alla costituzione di vere e proprie comunità energetiche locali con la partecipazione di tutti i soggetti del territorio), sia nell’ottica di condividere scarti e materiali (scarti di lavorazione di un’impresa che diventano materia prima seconda per un’altra impresa). Tra i tanti casi, ricordiamo quelle del distretto pratese dei tessuti, che deve la sua fioritura nel secondo dopoguerra e il suo rilancio negli ultimi due decenni a un sistema integrato di riciclo e la rigenerazione delle fibre, che vede coinvolte nelle varie fasi le imprese del distretto.

Oggi le esperienze collaborative fondate sulla ricerca di metodi produttivi sostenibili sono sempre più diffuse in tutto il Paese. Tra queste, il progetto promosso di recente da Riso Gallo, che ha lanciato un programma per incentivare le pratiche sostenibili dei propri fornitori e premia ogni anno le imprese più virtuose. Hanno aderito al progetto 155 aziende con sede in Piemonte e Lombardia, che si sono impegnate nell’applicazione degli standard di sostenibilità dell’agricoltura più diffusi a livello internazionale. I profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi tre anni hanno inoltre accelerato forme di collaborazione un tempo impensabili, tra aziende in precedenza competitor che si sono alleate fino a diventare partner all’interno di uno stesso sistema o addirittura di uno stesso gruppo, con l’obiettivo ad esempio di creare centrali di acquisto integrate, in grado di ottenere sul mercato prezzi competitivi sul fronte dell’energia o delle materie prime. È il caso di Glass Group, un progetto industriale nato nel 2009 per mettere insieme le principali aziende italiane nella produzione del vetro piano, che dopo la pandemia si è costituito in un gruppo vero e proprio e nel 2022 ha raggiunto i 160 milioni di euro di fatturato (+60% rispetto al 2021), con 22 aziende socie. I partner hanno programmato e gestito in maniera coordinata le forniture, aiutandosi reciprocamente nei momenti di criticità, attraverso scambi di materie prime e componenti quando qualche socio si trovava ad avere maggiore disponibilità e altri erano invece in sofferenza.

Gli esempi trattati testimoniano alcuni tra i tanti vantaggi che derivano da modelli di business fondati sulla relazione: unire le forze, le conoscenze e gli strumenti di accesso al credito o a bandi pubblici consente prima di tutto di mantenere in vita – oppure rafforzare – la filiera o il distretto industriale a cui si appartiene, con benefici che ricadono anche sulla singola azienda. Le imprese capofila possono così migliorare le loro performance ESG, elevare gli standard di qualità, aumentare la capacità di innovazione ed essere più resistenti alle crisi.

> Continua a leggere il rapporto "Coesione è Competizione" p.18

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