L’agricoltura italiana è la più green d’Europa, come emerge dai dati di seguito riportati.
Un settore che, riuscendo a coniugare tutela dell’ambiente, qualità delle produzioni e crescita economica del Paese, riveste un ruolo di rilievo in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Inquadriamo i dati sulla sostenibilità descrivendo brevemente il contesto. L’importanza di questo settore nel panorama economico nazionale è confermata anche nel confronto con gli altri paesi dell’Unione europea, con l’agricoltura italiana che si posiziona al primo posto in Europa in termini di valore aggiunto prodotto: 31,5 miliardi di euro, e pari al 18% del valore complessivo dell’Ue a 28. Dati che collocano l’Italia al vertice in Europa davanti alla Francia (28,8 miliardi) e alla Spagna (26,4 miliardi), con la Germania distanziata di oltre 14 miliardi (17,5 miliardi). Considerando l’intera branca agricoltura, silvicoltura e pesca, l’incidenza del valore aggiunto sul Pil è pari al 2,2% (36,2 miliardi euro) rispetto al dato medio europeo dell’1,5%. Valori che pongo, anche in questo caso, l’Italia sul podio della classifica Ue, subito dopo la Spagna (2,8%) ma avanti a Francia (1,7%) e Germania (inferiore all’1%). Sul fronte commercio estero, nel 2017 le esportazioni agroalimentari italiane hanno raggiunto il valore record di 41,03 miliardi di euro (+ 6.8% rispetto all’anno precedente). Negli ultimi cinque anni si registra un trend crescete con le esportazioni agroalimentari italiane aumentate del 23%. Una crescita maggiore rispetto a quelle europee (+ 16 per cento). Risultati che tuttavia esprimono solo in parte il potenziale del Made in Italy all’estero, penalizzato dal fenomeno del falso Made in Italy agroalimentare con un valore stimato pari ad oltre 100 miliardi di euro (con un incremento del 70% nel corso dell’ultimo decennio). La mancanza per tutti gli alimenti dell’obbligo di indicare la provenienza, come invece unanimemente richiesto da 9 italiani su 10 per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare, alimenta queste problematiche e contrasta con la necessità di una maggiore chiarezza. Ad oggi, nonostante i passi in avanti fatti in questa direzione, quasi ¼ della spesa è ancora anonima.
Biodiversità
Risultati legati anche al fatto che l’Italia è l’unico Paese al mondo che può vantare 296 indicazioni geografiche riconosciute a livello comunitario per i prodotti alimentari (di cui 167 DOP, 127 IGP e 2 STG), 37 per le bevande spiritose e 526 per il comparto dei vini (di cui 74 DOCG, 334 Doc e 118 IGT). A questi prodotti, registrati a livello Ue, si aggiungono 5.026 prodotti agroalimentari tradizionali riconosciuti dalle Regioni italiane. Un risultato reso possibile dalla grande biodiversità del patrimonio vegetale e animale, con la presenza sul territorio nazionale di 7 mila specie di flora, 58 mila specie di animali, 504 varietà iscritte al registro viti (contro le 278 della Francia) ma anche di 533 varietà di olive rispetto alle 70 spagnole. La straordinaria biodiversità degli allevamenti italiani ha permesso di salvare dalla estinzione ben 130 razze allevate. Un’azione di recupero resa possibile anche grazie ai nuovi sbocchi commerciali creati dai mercati degli agricoltori (mercati in cui vengono venduti solo prodotti agricoli, italiani, provenienti dai territori regionali quindi rigorosamente a km zero) che hanno offerto opportunità economiche agli allevatori ed ai coltivatori di varietà a rischio, i quali sarebbero sopravvissuti difficilmente alle regole delle moderne forme di distribuzione. Questa biodiversità è alla base della dieta mediterranea che risulta essere “sana” ma anche “sicura”. Solo una delle conseguenze positive legate alla diffusione di nuovi modelli di consumo come la vendita diretta, che prediligono prodotti in grado di garantire genuinità e sicurezza alimentare, tutela del territorio e della biodiversità, attenzione alle filiere corte ed al tema della stagionalità. Con importanti effetti anche ambientali: Coldiretti spiega, ad esempio, che fare la spesa a chilometri zero in filiere corte con l’acquisto di prodotti locali riduce del 60% lo spreco alimentare rispetto ai sistemi alimentari tradizionali. Un’opportunità resa possibile e sostenuta dalla Fondazione Campagna Amica, che rappresenta la più grande Rete al mondo di vendita diretta sotto lo stesso marchio con: 7.550 aziende agricole, 2.500 agriturismi, 433 cooperative, 1.020 mercati e 182 botteghe. Il tutto per un totale di oltre 11 mila punti vendita. Negli ultimi anni è stata creata anche una Rete complementare con tutti quei soggetti che condividono il percorso, i valori e gli obiettivi di Campagna Amica. Ne fanno parte 600 ristoranti e 213 orti urbani, lo Street Food di Campagna Amica e il Panino di Campagna Amica (con più di 40 realtà accreditate). È presente anche il No Food con oltre 20 aziende di altri settori (industria, artigianato, commercio, turismo, cultura ed altro). A completare l’offerta di genuinità rurale, circa 500 Agrichef: i cuochi-contadini che portano con professionalità e passione nella ristorazione i gusti più antichi dei mille territori italiani.
Un ulteriore fenomeno interessante è rappresentato dalla spesa di gruppo. A livello nazionale l’esperienza più diffusa è quella dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS). A differenza di quanto avviene all’estero i GAS non puntano al semplice risparmio ma cercano di promuovere anche la sostenibilità dell’acquisto, sostenendo i piccoli produttori locali, il rispetto dell’ambiente e la promozione di business che non favoriscano le disuguaglianze distributive. Il fenomeno è in espansione. Ad oggi sono più di 900 i GAS registrati sul sito della Rete nazionale di Collegamento GAS ma molti altri non si sono ancora registrati per cui si stima che il numero di GAS presenti effettivamente in Italia sia all’incirca il doppio. I fornitori abituali e strutturati di GAS nella Rete Campagna Amica sono 420. Un impulso alla diffusione degli acquisti a chilometro zero viene anche dalle nuove tecnologie.
La sicurezza alimentare
L’Italia è, inoltre, ai vertici mondiali sulla sicurezza alimentare con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,4 per cento), al netto della misurazione analitica dell’incertezza, inferiore di 3 volte alla media Ue (1,2 per cento) e ben 12 volte a quella dei Paesi terzi (4,7 per cento).
L’Italia presenta un elevato standard di sostenibilità anche per quanto concerne l’uso dei prodotti fitosanitari. Secondo i dati Istat, i prodotti fitosanitari distribuiti per uso agricolo dal 2003 ad oggi sono diminuiti del 22% (- 33,9 milioni di kg) passando da 158 milioni di kg nel 2003 a 124 milioni di kg nel 2016. Questi valori confermano, pertanto, il trend di riduzione nell’impiego dei prodotti fitosanitari.
La riduzione nell’uso dei prodotti fitosanitari è dovuta all’adozione, ormai da molti anni, di metodi di produzione a basso impatto ambientale da parte delle imprese agricole italiane, anche grazie all’adesione alle misure agroambientali previste dai Programmi di Sviluppo Rurale Regionali. In materia di uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, l’Italia è l’unico Paese ad aver previsto un sistema certificato da un Ente pubblico di produzione integrata, con standard più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla difesa integrata obbligatoria (in vigore dal 1° gennaio 2014). La normativa recante “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari” istituisce, infatti, il Sistema di qualità nazionale di produzione integrata (SQNPI) le cui produzioni sono contraddistinte da un marchio di proprietà del Ministero. I dati disponibili al 2017 evidenziano come, finora, siano stati certificati 149 mila ettari corrispondenti ad oltre 10 mila imprese agricole. A ciò si aggiungono gli effetti positivi correlati all’attuazione del Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
Tutte le Regioni sono impegnate nel mettere a disposizione degli utilizzatori professionali le informazioni agro-meteo e previsionali delle infestazioni (Bollettini fitosanitari) per cui non sono più praticati trattamenti a calendario.
Il biologico
Altra conferma dell’importanza del settore agricolo sul fronte della sostenibilità è fornita anche dai dati sulle produzioni biologiche. L’Italia è, infatti, il secondo Paese nell’Unione europea per superficie agricola investita a biologico. Nel 2017 la superficie bio ha raggiunto 1.908.653 ettari segnando un + 6.3% rispetto al 2016 (1.795.650 ettari) interessando così il 15,4% della SAU nazionale. Sono 75.873 imprese certificate bio (+ 5,2% rispetto al 2016). Dal 2010 si rileva un incremento di quasi 800 mila ettari (+ 71% delle superfici) e del 59% degli operatori del settore.
Lo scorso anno l’Italia è stata la seconda nazione al Mondo per Export di prodotti biologici (1.910 milioni di euro) dietro gli USA (2.400 milioni di euro) e nettamente avanti a Paesi Bassi (928 milioni di euro), Vietnam (817 milioni di euro) e Spagna (778 milioni di euro). I principali orientamenti produttivi del biologico sono: prati pascolo (544.048 ettari), colture foraggere (376.573 ettari) e cereali (305.871 ettari). A queste categorie seguono, in ordine di estensione, le superfici investite ad olivo (235.741 ettari) ed a vite (105.384 ettari). Si segnalano incrementi significativi rispetto al 2016 per il grano tenero e farro (+22,6%), ortaggi (+25,4%), frutta in guscio (+16,7%) e frutta da zona temperata (+10,9%). Nel settore ortaggi, i pomodori raggiungono 6.241 ettari con una crescita del 53,8%. Per quanto riguarda la distribuzione regionale delle superfici biologiche, la maggiore estensione è registrata in Sicilia (oltre 427 mila ettari), seguita dalla Puglia (252,3 mila ettari) e dalla Calabria (202 mila ettari). La superficie biologica di queste tre Regioni detiene, confermando il valore del 2016, il 46% dell’intera superficie biologica nazionale.
L’elaborazione dei dati sulle superfici biologiche per aree geografiche mostra che su ogni 100 ettari di SAU, circa 20 ettari sono condotti con metodo biologico nel Centro, Sud e Isole, mentre, nel Nord del Paese la SAU biologica si ferma a circa 7 ettari. Per quanto concerne i consumi di prodotti biologici, in Italia si registrano 6,5 milioni di acquirenti abituali (+1.3 milioni nell’ultimo anno) che coprono il 78% degli acquisti da alimenti bio. Dall’indagine Coldiretti/Ixe’ risulta che sei italiani su dieci nell’ultimo anno hanno messo nel carrello della spesa prodotti bio.
I dati evidenziano che i fatturati del bio sono in lieve crescita nel primo semestre del 2018. Il fresco cresce del 3,6% rispetto al 2017, così come la carne (+2,3%), i prodotti da gastronomia, salumeria e formaggi (+ 1,2 %). Analizzando i dati sul valore di mercato del bio (mercato nazionale + export), dal 2007 i volumi di vendite sono più che raddoppiati, passando da 2.135 milioni di euro nel 2007 a 5.008 milioni di euro. Dal 2013 al 2017 si registra un aumento dei negozi specializzati di alimenti bio (+ 12,5 per cento), delle imprese agricole biologiche che praticano la vendita diretta (+ 1,5 per cento), dei ristoranti bio (+ 58,9 per cento), dell’e-commerce di alimenti bio (+ 134 per cento) e dei mercatini (+ 3 per cento).
Crescono, inoltre, i Comuni d’Italia con mense scolastiche biologiche (2.621). Nel 2018 è stato avviato il nuovo sistema pubblico nazionale di riconoscimento delle “mense biologiche scolastiche” con una crescita esponenziale che fa registrare un totale di 1,3 milioni di pasti serviti giornalmente. Le mense bio operative dal prossimo anno scolastico avranno una medaglia fogliata d’oro o d’argento a seconda delle percentuali di prodotti biologici utilizzati. Sono questi i criteri che il Mipaaft ha individuato per le nascenti mense biologiche scolastiche certificate.
Tra le imprese agricole biologiche italiane si segnala l’azienda agricola biologica Musso Stefano che si trova a Magliano Alpi (CN). L’azienda è un concreto esempio di azienda biologica multifunzionale con un’ampia diversificazione della produzione agricola. In azienda si trovano, infatti, 60 capi di razza piemontese, coltivazione di cereali e foraggi, ortaggi, frutta e vite. La concimazione avviene mediante letame prodotto dall’allevamento secondo un modello di gestione aziendale a ciclo chiuso. L’azienda diventerà inoltre, a breve, anche fattoria didattica. La produzione è collocata sul mercato ricorrendo alla vendita diretta.
In Calabria molto interessante è la start-up Biocity Km 0 che ha vinto l’Oscar Green 2017 di Coldiretti per la categoria Campagna Amica. L’azienda, pioniera della consegna a domicilio di produzioni bio nella “punta dello Stivale”, è riuscita a sviluppare una sensibilità verso gli acquisti online in un territorio considerato poco ricettivo. Su una base iniziale di circa 100 ettari coperti, la start-up oggi conta oggi su una rete di produttori che arriva a circa 300 ettari di terreni con prodotti biologici, che vengono consegnati a casa due volte a settimana previo ordine online.
Tra gli agriturismi biologici si cita l’esempio dell’Azienda agrituristica di Mazzei Luigi Giuseppe, in Provincia di Cosenza. L’azienda, che si estende su un territorio di 18 ettari coltivati a ortive, alberi da frutta, olivi, seminativi e vigneto, pratica anche la trasformazione e commercializzazione dei prodotti della propria attività agricola. Nella nuova cantina aziendale, ubicata in prossimità del punto ristoro, vengono trasformate le uve di propria produzione. È inoltre presente una sala di degustazione. L’azienda ha realizzato anche una fattoria didattica.
L’evoluzione in atto nel settore biologico dimostra che le misure dei Programmi di sviluppo rurale della passata programmazione 2007–2013 hanno prodotto esiti positivi: occorre dunque consolidare e migliorare ulteriormente la performance nell’attuale e nel futuro periodo di programmazione 2021-2027. È importante puntare di più nella ricerca, nella formazione e nella consulenza agli imprenditori agricoli, che devono essere in grado di padroneggiare le tecniche di coltivazione ed allevamento più recenti ed essere aggiornati sugli esiti dei progetti sperimentali condotti sull’agricoltura biologica.
Una menzione speciale merita lo sviluppo in Italia dell’agricoltura biodinamica, che rappresenta la punta di diamante dell’agricoltura sostenibile. L’agricoltura biodinamica in Italia è cresciuta costantemente negli ultimi anni portando il nostro Paese ad essere il 3° produttore in Europa, dopo Germania e Francia ed il primo esportatore al Mondo. Secondo un’analisi Coldiretti, in Italia le aziende biodinamiche sono raddoppiate dal 2007 al 2017. Ad applicare le metodiche biodinamiche sono almeno 4.500 realtà, ma solo un numero limitato (420 aziende per un’estensione di 12,8 mila ettari coltivati e circa 200 milioni di fatturato) riesce a conseguire la certificazione biodinamica Demeter. Il biodinamico cresce soprattutto per l’ortofrutta (oggi il 36% della SAU - Superficie agricola utilizzata - biodinamica), nel vitivinicolo (35%) e nel cerealicolo (21%). Le nuove richieste di certificazione biodinamica del primo semestre del 2018 ammontano al 35% del totale dei produttori già certificati. Nello stesso semestre, solo il 10% delle richieste pervenute ha acquisito la certificazione. I disciplinari dell’agricoltura biodinamica costituiscono infatti un’applicazione restrittiva dei regolamenti europei del biologico e solo le aziende di eccellenza riescono ad accedervi. Il numero totale delle sostanze (concimi, ammendanti, antiparassitari e prodotti fitosanitari) ammesse dai disciplinari Demeter sono solo 10, a fronte delle 69 autorizzate nel bio. La vendita di prodotti biodinamici sul mercato del biologico è in proporzione molto maggiore rispetto al numero delle aziende. Le indagini condotte sul consumatore italiano del bio rivelano che il prodotto biodinamico è preferito per le qualità organolettiche, di sicurezza, salubrità e per la fidelizzazione ad un metodo che è portatore di un valore aggiunto in termini di sostenibilità ed eticità. Il mercato dell’ortofrutta biodinamica regge per ora la concorrenza della Spagna (dove la biodinamica è in forte ascesa), grazie alle competenze radicate dall’introduzione della biodinamica in Italia dai primi anni ’30. Per cogliere le tendenze di un mercato estero sempre più competitivo serviranno però investimenti in ricerca e formazione oltre alla valorizzazione della biodinamica nel Piano generale di sviluppo del biologico italiano.
I contratti di filiera
Una spinta verso la sostenibilità arriva anche da strumenti dell’economia contrattuale come i Contratti di Filiera, in grado di valorizzare l’operato delle aziende agricole e contemporaneamente agire sulla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del benessere animale, senza tralasciare l’impatto sociale delle iniziative. In questa direzione Coldiretti sta portando avanti, ormai da tempo, l’esperienza dei Contrati di filiera con l’obiettivo di ridurre lo squilibrio lungo la filiera che vede la fase produttiva spesso penalizzata. A riguardo si possono citare, ad esempio, i progetti, volti a valorizzare le produzioni 100% Made in Italy, sviluppati nell’ambito del settore della Carne bovina, Olio di oliva, Frumento tenero e duro Bio ed Aceto.
Il progetto di filiera sulla carne bovina (firmato dai soci Coldiretti, Inalca, Bonifiche Ferraresi e Filiera Bovini Italia) nasce per garantire un prezzo minimo agli allevatori pari ai costi di produzione ed al contempo offrire un contributo al sistema Paese con la riduzione delle importazioni. È previsto anche un premium price rispetto alle quotazioni di mercato, garantito agli agricoltori, in grado di valorizzare le produzioni 100% italiane, di qualità e sostenibili. Inoltre, il progetto assicura la tutela del territorio e la gestione attiva di aree destinate altrimenti all’abbandono, riducendo il rischio di dissesto idrogeologico e di incendi e garantisce benessere nelle stalle e gestione sostenibile dei pascoli. Il contratto coinvolge tutte le fasi produttive — dall’allevamento alla macellazione, dalla lavorazione al confezionamento fino alla commercializzazione — valorizzando tutte le aree del nostro Paese, da quelle marginali del Sud vocate all’allevamento estensivo della linea vacca-vitello a quelle del Nord adatte alle successive fasi di ristallo.
In linea con questi principi risulta essere anche il contratto di filiera sul grano biologico (realizzato da Coldiretti con Consorzi agrari d’Italia, FAI S.p.A. - Filiera Agricola Italiana - e Gruppo Casillo), che intende rafforzare la leadership dell’Italia in Europa per numero di imprese che coltivano biologico. E lo fa prevedendo la fornitura per ogni anno di 300 milioni di chili di grano duro biologico 100% italiano destinato alla produzione di pasta, e 300 milioni di chili di grano tenero bio 100% italiano per la panificazione.
Nel giugno 2018 Coldiretti, Unaprol, Federolio e FAI S.p.A. hanno firmato l’Accordo di filiera per l’olio Made in Italy: per realizzare una filiera italiana che difenda la produzione, valorizzi la distintività ed assicuri la giusta distribuzione del valore tra tutte le fasi della filiera con un prezzo minimo garantito ai produttori pari ai costi di produzione. L’Accordo prevede un potenziale di 10 milioni di chili di prodotto per un valore di oltre 50 milioni di euro con l’obiettivo di assicurare la sicurezza e le diffusione dell’olio 100 % italiano stabilizzando le condizioni economiche della vendita.
Questi progetti di filiera sono solo alcune delle iniziative portate avanti da Coldiretti per garantire sostenibilità ambientale (gestione attiva e sostenibile dei territori), sociale (crescita occupazionale) ed economica (riduzione dello squilibrio lungo la filiera) del settore agroalimentare e dell’intero Paese.
I giovani
Un approccio più green all’agricoltura è favorito anche dalla presenza di giovani, attenti ai temi della sostenibilità, dell’innovazione e della diversificazione. Le nuove generazioni hanno infatti interpretato in chiave innovativa le opportunità offerte dal mondo rurale, caratterizzando le proprie imprese agricole con attività innovative e di diversificazione produttiva che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche l’agricoltura sociale, l’agribenessere, la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili.
Con 55.121 imprese agricole italiane condotte da under 35 nel 2017 (+ 6% rispetto all’anno precedente) l’Italia è al vertice nell’Unione Europea per aziende condotte da giovani. Si tratta di un dato coerente con la corsa alla terra in atto tra le nuove generazioni per il crescente interesse dei giovani per il lavoro in campagna. I risultati registrati sulla conduzione delle aziende da parte dei giovani appaiono interessanti: i giovani agricoltori utilizzano, ad esempio, il web e la tecnologia, 1 su 4 è laureato e conosce una o più lingue straniere (almeno a livello scolastico), mentre 8 su 10 sono abituati a viaggiare e andare all’estero. Come testimoniano i casi pratici aziendali di seguito illustrati, è in atto un notevole cambiamento con il mestiere della terra che non è più considerato l’ultima spiaggia per le giovani generazioni ma è la loro strada del futuro.
L’esempio dell’azienda agricola Chiesa Virginio di Stefano Chiesa rappresenta solo il primo di una lunga serie di casi di successo in cui la presenza di giovani va a braccetto con l’innovazione e la sostenibilità. In questa azienda si producono ortaggi, si allevavano mucche e si produce biogas. L’idea innovativa dell’azienda, in linea coi dettami dell’economia circolare, è stata quella di valorizzare uno scarto di produzione: le bucce di pomodoro. L’azienda Chiesa Virginio di Stefano Chiesa produce infatti bioresina naturale ottenuta dalla cutina, una sostanza che viene estratta dal pomodoro. Anche grazie ad alcuni progetti europei di ricerca, è stato realizzato un impianto di estrazione semindustriale, che ha permesso di realizzare una latta al cui interno non c’è chimica ma solo natura. Oltre a vernice per le latte potrà diventare anche smalto naturale per le unghie.
Un altro esempio interessante è rappresentato dall’iniziativa che ha visto protagonista la Cooperativa Agricola Predium, nel settore cerealicolo. Questa volta la nuova traiettoria è tracciata dal “no food”, precisamente nel campo della salute. I semi dei cereali hanno, infatti, il potere di assorbire calore e di rilasciarlo lentamente. Funzionano nello stesso modo con il freddo. Ecco l’idea di impiegarlo sia nella termoterapia che nella crioterapia: nasce così il “cuscino della salute” di granella di cereali e lavanda da mettere nel forno a microonde o nel freezer a seconda delle necessità. Aiuta a decontratturare i muscoli, abbassare la febbre, riscaldare il letto o assorbire i traumi. Oltre a rilanciare un indotto dei cereali ed offrire opportunità occupazionali per la sua commercializzazione, l’azienda ha recuperato la manualità artigianale di donne del luogo impegnate nel confezionamento di linee per bambini ed adulti, come le fasce lombari o ‘il classico’ per il calore terapeutico. In arrivo c’è anche il cuscino della salute pet per gli amici a quattro zampe.
C’è poi l’esempio di Fabrizio Agosto con i suoi tetti di paglia. La loro straordinarietà sta nel mantenere una continuità nella tradizione e trasferirla nel futuro e nel chiudere un ciclo produttivo. Il Tetto di paglia è ecologico, può durare 50 anni, è leggero ma è anche isolante. In questo modo l’azienda chiude la filiera dalla semina della segale al taglio, fino alla realizzazione dei fasci con la parte appunto meno nobile, ovvero la paglia.
Proseguendo con la breve disamina di casi di rilievo, ecco l’esempio di cinque ragazzi ed il progetto “Melovita” che valorizza gli scarti del melograno. L’idea è stata quella di trasformare la buccia del frutto nel suo packaging attraverso la realizzazione di bioplastica dagli scarti del melograno. Mentre tradizionalmente la buccia veniva utilizzata per foraggiare gli animali, oggi, grazie al progetto, verrà destinata ad un impiego nel campo della salute: la buccia di melograno verrà sottoposta all’estrazione di un potente antiossidante (acido ellagico) per le aziende cosmetiche e farmaceutiche. Con la restante parte si otterranno biopolimeri per la produzione della bioplastica che sostituirà l’attuale confezione.
Si può citare, inoltre, la storia di Pasly (Pasqualina Tripodi) che con gli scarti di produzione realizza accessori di alta moda. È così che da un nocciolo d’oliva di questa azienda agricola nasce un bracciale. Proprio come avviene con una pigna, con un rametto secco del bosco, con la cera delle api o il rame scartato dalle lavorazioni artigianali del luogo. Gioielli dal bosco, dunque, con l’Aspromonte sulle passerelle dell’alta Moda. I primati di un’agricoltura che si rinnova sulle nuove strade del fashion, del gioiello e della moda.
Tra i giovani va annoverata anche l’esperienza di Linfa, una piccola serra smart (600x520x350 mm) pensata e commercializzata dalla start-up italiana Robonica. Modulare (si possono accoppiare numerose serre, ad esempio per i ristoranti) e dall’essenziale design made in Italy, garantisce, in casa, un sistema di coltura idroponica completamente automatizzata. La luce del sole è simulata da LED, i nutrienti impiegati sono tutti organici, e non bisogna essere un agricoltore per coltivare la propria insalata, i propri peperoncini o il proprio basilico: grazie all’App e al cloud si possono usare dei profili d’uso preimpostati, importare quelli altrui, o ancora condividere i propri.
L’imprenditoria femminile
Tra gli esempi di successo citati, diverse esperienze sono imputabili all’universo femminile agricolo. Le donne d’impresa sono due volte giovani, per data di avvio dell’attività e per incidenza di imprenditrici under 35. Infatti, 4 imprese femminili su 10 sono state create dal 2010 ad oggi (tra gli uomini, sono 3 su 10 le aziende che hanno meno di 7 anni). Un terzo delle imprese agricole italiane hanno un titolare donna e questa distribuzione percentuale si riscontra capillarmente in tutte le aree del Paese, dalla pianura più fertile alla montagna più impervia. L’evoluzione dell’ultimo decennio rileva un trend costante di crescita del numero di imprese femminili che rappresenta la chiara esemplificazione di un vero e proprio “processo di femminilizzazione” dell’agricoltura italiana. Essere imprenditrice agricola oggi è ormai il risultato di una scelta consapevole e desiderata anche se prevale nella decisione il valore affettivo del continuare l’attività tradizionale della famiglia. Numerose sono le imprenditrici che provengono da settori lavorativi ed economici molto distanti dall’agricoltura. L’imprenditoria femminile è un’imprenditoria multifunzionale con 1.371 fattorie didattiche attive sul territorio nazionale. Aziende agricole che accolgono scuole per una comunicazione diretta con l’agricoltore in un’ottica di coinvolgimento attivo. Questo al fine di creare un collegamento tra città e campagna, far conoscere l’ambiente agricolo, l’origine dei prodotti alimentari e la vita degli animali. Gli agrinido sono strutture di accoglienza realizzata all’interno di un’azienda agricola per bambini fino a tre anni di età, mentre gli agriasilo ospitano bambini dai 3 ai 6 anni. Il progetto Agritata è invece una forma di accoglienza di bambini all’interno della famiglia e della casa nel contesto dell’azienda agricola. Altro vantaggio che offre l’azienda agricola multifunzionale è di certo l’azienda agricola sociale, un’innovazione che è stata riconosciuta con l’approvazione della Legge nazionale sull’agricoltura sociale 141 del 18 agosto 2015. L’obiettivo è quello di sviluppare interventi di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo per facilitare l’accesso adeguato ed uniforme alle prestazioni essenziali per persone, famiglie e comunità locali in tutto il territorio nazionale ed in particolare nelle zone rurali o svantaggiate.
Sostenibilità per competere
Alcune esperienze mostrano in particolare come la scelta della sostenibilità sia una strategia competitiva.
Oleificio Zucchi S.p.A., uno dei principali player del settore oleario italiano, produce oli da oltre duecento anni e opera sia come produttore di oli di oliva e oli di semi a marchio proprio e a marchio privato, sia come fornitore dell’industria alimentare. In un’ottica di valorizzazione della qualità del prodotto e della materia prima, negli ultimi anni ha investito sia sulla tracciabilità (utilizzando il QR Code presente sulle bottiglie si può risalire all’origine di tutte le componenti e fasi di lavorazione dell’olio); sia sulla sostenibilità. L’azienda di Cremona ha, infatti, sviluppato un disciplinare volontario di certificazione (DTP.125) che concerne la sostenibilità della filiera di produzione dell’olio extra vergine di oliva — sia italiano, sia di origine dell’Unione Europea — in ogni suo passaggio, tracciato e garantito dalla certificazione CSQA. La realizzazione del disciplinare, evoluzione di un precedente progetto sviluppato con Legambiente e con la collaborazione di tutte le principali organizzazioni di produttori olivicoli (Aipo, Cno, Confoliva, Unapol, Unaprol e Unasco), prevede il rispetto di oltre 150 requisiti che garantiscono la sostenibilità dell’olio extra vergine di oliva certificato su quattro aspetti: ambientali, che include agricoltura a produzione integrata, ciclo di vita, impatto ambientale, biodiversità; sociale, comprendente il rispetto dei lavoratori e della comunità, la lotta al caporalato, la formazione; economica, che contempla prezzo equo, generazione e distribuzione della ricchezza, redditività, efficienza; e qualitativa/ nutrizionale, che riguarda specifici parametri merceologici, nutrizionali e salutistici.
Cantine Arnaldo Caprai — azienda leader nella produzione di Sagrantino di Montefalco, il grande vino rosso prodotto da uve Sagrantino, un vitigno unico che cresce solo nel territorio di Montefalco da più di quattrocento anni — ha promosso il progetto Montefalco 2015: The New Green Revolution, il primo protocollo territoriale di produzione vitivinicolo (certificato da CSQA) che fa della sostenibilità ambientale, sociale ed economica il nuovo modello di sviluppo di un intero territorio. Cantine Arnaldo Caprai è impegnata da diversi anni nel monitoraggio, nella valutazione e nella riduzione dei consumi aziendali e dell’impatto che le attività di produzione hanno sul territorio. È così che rispetto al 2015 l’azienda ha ridotto i consumi specifici di energia elettrica del 22%; quelli di acqua del 23%; il consumo di gasolio agricolo del 6%; il quantitativo di agrofarmaci per ettaro del 77%; le emissioni di CO2 eq a bottiglia del 17%. E ha aumentato l’uso di concimi organici del 166%.
La cantina Salcheto di Montepulciano, “Cantina sostenibile” secondo il Gambero Rosso, è stata la prima azienda al mondo ad aver certificato (nel 2011) la Carbon Footprint di una bottiglia di vino (secondo lo standard ISO 14064). Controlla costantemente le proprie performance ambientali per migliorarle: per questo redige un Bilancio di Sostenibilità (conforme alla norma EQUALITAS) che tiene conto della Carbon Footprint, dalla Water Footprint e di un Indice Biodiversità in fase di sperimentazione applicata, che monitora la qualità biologica del suolo e dell’ecosistema aziendale. La cantina è energeticamente autonoma (“off-grid”), produce secondo lo standard biologico, autoproduce col compostaggio i propri concimi, depura e riciclare il 100% delle acque reflue (incluse quelle derivanti dal lavaggio delle macchine irroratrici), differenziare il 98% dei materiali di scarto nell’isola ecologica interna anche al fine di adottare misure di riciclo diretto.
L‘acqua
Il risparmio idrico è sicuramente un altro aspetto rilevante dal punto di vista della sostenibilità, complice anche la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, a causa dei quali diverse zone del nostro territorio risultano danneggiate da periodi di siccità.
Nella direzione di una gestione sostenibile dell’acqua in agricoltura, ad esempio, si muove Irriframe, il sistema di irrigazione intelligente realizzato dall’Anbi (Associazione nazionale bonifiche), che garantisce un risparmio idrico fino al 25%. Si tratta di un software 100 % Made in Italy che, grazie alla combinazione di più parametri (tipo di coltura, previsioni meteo, umidità del terreno, disponibilità idrica) permette di inviare all’agricoltore (via computer o telefonia mobile) informazioni su come, quando e quanto irrigare. Con la nuova App il consiglio arriverà anche in versione vocale (Irrivoice). Il tutto in modo gratuito. Il sistema oggi è attivo su una superficie di 1,6 milioni di ettari (circa il 48% della superficie consortile irrigabile di tutta Italia) situati in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Calabria. L’uso razionale dell’acqua irrigua, consentito da Irriframe, permette alle imprese agricole di impiegare meno acqua e realizzare economie nella fase produttiva e, quindi, di ottenere un miglior reddito e una maggiore competitività sui mercati. Alle iniziative collettive, si affiancano quelle di singole aziende.
Energie rinnovabili
Per quanto riguarda lo sviluppo delle fonti rinnovabili, le cosiddette imprese agroenergetiche hanno un ruolo strategico nella sviluppo della green economy a micro scala territoriale, coniugando innovazione ed efficienza con la salvaguardia del territorio, della biodiversità e mitigando gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. I motivi di interesse e di crescita vanno ricercati nelle opportunità di diversificare le attività a livello aziendale, nella possibilità di valorizzare i residui e i sottoprodotti di origine agricola oltre alla necessità di far fronte a costi crescenti per raggiungere l’autosufficienza energetica. La produzione di energia verde, inoltre, è importante anche per quelle imprese interessate a migliorare la propria competitività sul mercato, certificando il ridotto impatto ambientale dei cicli produttivi. Negli ultimi anni le rinnovabili agricole sono cresciute grazie a diverse misure incentivanti — in particolar modo nel solare fotovoltaico e biogas — integrando le tecnologie in base alle potenzialità aziendali e sfruttando al meglio la disponibilità di super fici delle coperture, anche con rimozione dell’eternit, e grazie alla valorizzazione degli effluenti zootecnici di allevamento.
Per le bioenergie elettriche, al 30 giugno 2018, gli impianti di piccola potenza (inferiore ad 1 MWe) a biomasse, bioliquidi e biogas incentivati con gli attuali meccanismi sono 2.530 (rispettivamente 462 impianti a biomassa, 403 bioliquidi e 1.665 biogas). Più dell’81% risulta già in esercizio alla fine dello scorso anno, principalmente grazie ad oltre 1.370 impianti a biogas. Questi piccoli impianti rappresentano il 93% degli impianti a bioenergie e il 25% degli impianti a fonte rinnovabile elettrica ammessi agli incentivi. Con il 7,4% della potenza incentivata installata (circa 1,370 GW) coprono più del 19,1% della produzione elettrica da rinnovabili incentivata in Italia. Nonostante il numero dei progetti sia aumentato meno del 7% rispetto al 2016, con un incremento di potenza dello 0,5%, l’energia incentivata prodotta è aumentata del 5%. In generale sono stati realizzati prevalentemente impianti di potenza compresa tra i 600 kW e i 1000 kW (43%), che rappresentano anche il 75% della potenza, mentre sono aumentati al 41% gli impianti inferiori ai 300 kW (il 12% della potenza istallata). Analizzando la tendenza per singola fonte, i progetti di impianti termoelettrici a biomassa di potenza inferiore ai 300kW sono aumentati del 50% (324 impianti) che, pur rappresentando il 13,5% della potenza complessiva rispetto agli impianti inferiori al MW, contribuiscono solo per l’1,7% alla produzione elettrica. Segue il biogas di potenza inferiore ai 300kW, con una crescita del 16%, che rappresenta circa il 25% della potenza e contribuisce alla produzione di energia elettrica per oltre l’8,2%.
Le ricadute economiche ed occupazionali delle bioenergie elettriche evidenziano un segmento di settore con un alto valore aggiunto, stimato dal GSE in 870 milioni di euro (circa il 27% del totale), che assume maggior rilievo se paragonato alle altre fonti rinnovabili in funzione. Infatti il biogas con il 6,5% degli investimenti complessivi e il 13,3% di spese gestione e manutenzione, genera un valore aggiunto del 14,8%. Nel singolo segmento delle bioenergie, il biogas registra la più alta spesa di investimento (oltre il 91%), un minor costo di gestione e manutenzione rispetto alle biomasse e biolibiqui, conseguendo il maggior valore aggiunto (55,1%). In termini occupazionali, le bioenergie impegnano oltre 12 mila Unità di Lavoro Annuali Permanenti (il 32% del totale impiegato) e 2.282 Unità di Lavoro Annuali Temporanee (il 14,8%). Il solo biogas è in grado di impiegare 6.454 Unità di Lavoro Annuali Permanenti (oltre il 17% del totale).
Lo sviluppo di queste piccole tecnologie è stato direttamente determinato dalle passate misure di incentivazione che hanno premiato, grazie all’accesso diretto agli incentivi e i registri, maggiormente le taglie ridotte e la valorizzazione dei sottoprodotti. Lo sviluppo di questi piccoli impianti a scala aziendale è dovuto sia a logiche di mercato, determinate in particolare dalla disponibilità della biomassa, sia all’introduzione di premialità specifiche per l’aumento delle performance di efficienza energetica (es. cogenerazione) e ambientali (es. riduzione delle emissioni e abbattimento dell’azoto nei residui zootecnici), che hanno completato un quadro di rilancio dell’agro-energia, oggi interpretata in un’ottica realmente multifunzionale.
Nel settore termico, la fonte rinnovabile più utilizzata è la biomassa, in primis legna e pellet usate nel residenziale. Il GSE stima che gli apparecchi in esercizio siano circa 7 milioni, con un mercato annuale di 0,2 - 0,4 milioni di apparecchi (circa il 25 per cento incrementi lo stock). Grazie al Conto Termico a fine agosto 2018 erano stati realizzati 60.791 impianti alimentati a biomassa (+159 per cento rispetto allo scorso anno), di cui più del 99,9 per cento sono interventi realizzati da privati. Questi impianti sono la tecnologia maggiormente incentivata (57 per cento). Le ricadute economiche ed occupazionali delle rinnovabili termiche evidenziano come gli impianti alimentati a legna (stufe e termocamini), a fronte di investimenti contenuti per la realizzazione (170 milioni di euro), hanno generato oltre 18.974 Unità di Lavoro Annuali Permanenti e 2.100 Unità di Lavoro Annuali Temporanee.
Inoltre la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN), avvalorando le tendenze di sviluppo della piccola generazione distribuita, rafforza la penetrazione delle tecnologie di piccola taglia a supporto dell’economia circolare. Essa prevede inoltre di sostenere le bioenergie incentivando i piccoli impianti alimentati da scarti, sottoprodotti e rifiuti agricoli, nonché introducendo criteri di efficienza e riduzione delle emissioni di polveri sottili anche per il parco installato. Il mantenimento della capacità produttiva e l’ammodernamento del parco di generazione sono obiettivi strategici che permetteranno di valorizzare al meglio le competenze maturate da migliaia di imprenditori agricoli.
Il biometano è una fonte energetica che può contribuire fino a circa il 15% della domanda italiana di gas al 2030. La produzione di biometano da fonti agricole in Italia ha infatti una potenzialità di 2,5 miliardi di metri cubi, senza ridurre il potenziale italiano nei mercati alimentari, ma accrescendo la competitività e sostenibilità delle aziende.
L’obiettivo per il settore agricolo è dare un contributo crescente al processo di graduale passaggio da una economia basata sui carburanti fossili a una decarbonizzata e più sostenibile, con una collaborazione di filiera in grado di imprimere maggiore forza allo sviluppo del settore del biogas e del biometano. Questo non limitandosi al solo ambito dei trasporti, ma sfruttando appieno il potenziale delle filiere e favorendo la transizione italiana verso un sistema energetico ed agricolo net zero carbon (carbon neutrality).
Un modello di economica circolare che parte dalle aziende agricole e zootecniche con l’utilizzo degli scarti delle coltivazioni e degli effluenti di allevamento per arrivare all’utilizzo del biometano nei trattori, nelle flotte dei mezzi pubblici e nelle auto dei cittadini italiani. Il tutto consentirà di generare un ciclo virtuoso di gestione delle risorse, taglio degli sprechi, riduzione delle emissioni inquinanti, creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppo della ricerca scientifica in materia di carburanti green. Il contributo del biometano alla decarbonizzazione non si limita alla sola fase del soddisfacimento del consumo energetico. Il suo processo produttivo rende infatti disponibili una serie di altri prodotti, sottoprodotti e servizi non energetici il cui sfruttamento comporta una riduzione delle emissioni climalteranti. Ad oggi, con un solo impianto a biometano entrato in esercizio e allacciato alla rete SNAM (per una capacità di trasporto richiesta di 90 kSmc/g), sono circa 600 le richieste preliminari di allaccio alla rete (per 6000 kSmc/g), oltre 100 le richieste di allacciamento formalizzate (per 1700 kSmc/g) e 20 infrastrutture per gli impianti in fase di completamento dei lavori (per 600 kSmc/g), di cui 14 concentrate nel Nord Italia, 3 nel Lazio e 3 al Sud. Dopo i progetti di impianti alimentati da FORSU-Frazione organica del rifiuto solido urbano (31%), gli impianti alimentati da biomasse agricole rappresentano il 22%, seguite da scarti di produzione agroalimentare (19%), reflui zootecnici (18%), biomasse da silvicoltura e manutenzione boschiva (7%).
L’idroelettrico assumerà una funzione polivalente, in cui il settore agricolo avrà un ruolo determinate. Infatti tra gli obiettivi da perseguire con la SEN — Strategia Energetica Nazionale — ed il Piano Energia Clima, è prioritario l’introduzione di sistemi di storage sia “utility scale” sia “distribuiti”, tra cui anche l’accumulo idroelettrico, che contribuiranno a gestire gli oltre 110 TWh di produzione elettrica da fonte rinnovabile non programmabile, previsti al 2030. L’uso dei bacini idrici potrà di fatti svolgere anche il ruolo di accumulo (tramite sistemi idroelettrici di pompaggio, per circa 5 GW aggiuntivi all’esistente) per accogliere nel sistema elettrico nazionale ed europeo l’enorme quantità di rinnovabili necessarie alla sicurezza della rete; potrà partecipare al mercato per il servizio di dispacciamento (MSD). Per raggiungere l’obiettivo, Coldiretti, TERNA e ANBI (Associazione nazionale bonifiche irrigazioni), hanno siglato un Protocollo per definire una strategia volta a massimizzare i benefici derivanti dall’impiego della risorsa irrigua attraverso una gestione polivalente, finalizzata all’utilizzo ottimale ed efficiente delle reti idriche e degli invasi per usi idropotabili, irrigui ed energetici.
Tra i casi pratici di successo nel settore delle energie rinnovabili, si cita l’esempio di Bonifiche Ferraresi con il Progetto Green Energy Farming. L’azienda, infatti, adottando criteri della precision farming ha l’obiettivo di massimizzare le rese minimizzando l’impatto ambientale. I terreni sono stati georeferenziati, le caratteristiche del suolo (come resistività e concentrazione di macro e microelementi) sono state analizzate e mappate così come le rese colturali e lo stato di accrescimento delle colture. L’insieme dei dati così ottenuti permette di intervenire esclusivamente ove serve (management zone characterization) evitando sprechi, incrementando l’efficienza di utilizzo dei macchinari di circa il 15 %. Questo consente pertanto un’analoga diminuzione delle emissioni climalteranti e l’incremento delle rese colturali di circa 10-15 %. Il controllo telemetrico delle macchine agricole permette di evitare sovrapposizioni nei trattamenti diminuendo del 8-10 % il consumo di concimi e fitofarmaci. La scelta del tipo di irrigazione più congeniale per ogni coltura può inoltre consentire uno sfruttamento ottimale delle riserve idriche. Test eseguiti su mais hanno portato, ad esempio, ad una diminuzione del consumo idrico del 40 % circa.
I benefici così ottenuti incrementano ulteriormente se rapportati ai quantitativi prodotti anziché ad ettaro di terreno. Proprio al fine di quantificare l’efficienza dei suddetti processi, Bonifiche Ferraresi ha firmato un protocollo di intesa con il GSE per la redazione di una Carta di Sostenibilità che prevedrà meccanismi premiali per coloro che attueranno tali pratiche virtuose. Su quest’ultime Bonifiche Ferraresi ha impostato la qualità e l’eccellenza della sua linea di prodotti “Le Stagioni d’Italia”. Il brand garantisce al consumatore prodotti che non sono solo trasparenti e tracciabili (grazie al presidio dell’intera filiera produttiva) ma sono anche frutto di un tipo di coltivazione sostenibile e rispettosa della terra (grazie all’applicazione delle tecniche agronomiche di precision farming). L’attività di Bonifiche Ferraresi non si limita alla coltivazione: nel polo di Jolanda di Savoia le erbe officinali ed i cereali (principalmente riso e orzo) vengono ripuliti, essiccati, lavorati e confezionati ottenendo un prodotto pronto per lo scaffale. Il fabbisogno energetico necessario da tali operazioni è coperto dall’installazione, in tutta l’azienda, di impianti fotovoltaici per una potenza totale di 1,65 MW circa, grazie ai quali si può evitare l’immissione in atmosfera di oltre 1000 t/anno di anidride carbonica. Inoltre, per massimizzare l’autoconsumo dell’energia prodotta, è stato installato un sistema di accumulo Tesla di ultima generazione da 100kWp/190 kWh con la prospettiva futura di ampliare ulteriormente il parco batterie.
Bonifiche ferraresi è attiva anche nell’allevamento: 1.600 ettari sono infatti destinati al distretto zootecnico a servizio di una stalla in grado di ospitare fino a 5 mila capi bovini. Al fine di minimizzare gli sprechi ed ottimizzare ogni processo della filiera in un’ottica di economia circolare, l’azienda sta progettando la realizzazione di un impianto di digestione anaerobica abbinato ad un impianto di upgrading a bio-metano alimentato dai reflui zootecnici e dagli scarti di lavorazione. Quelli che sono attualmente considerati sottoprodotti potranno così essere valorizzati economicamente e le biomasse, stabilizzate dal processo, potranno tornare nei campi come concimi e ammendanti per le colture destinate all’alimentazione del bestiame, chiudendo così il ciclo. Si prevede che la produzione di metano (circa 250 m3/h) sarà in grado di sopperire totalmente ai fabbisogni aziendali.
L’azienda opera nel massimo rispetto dell’ambiente anche al di fuori delle attività produttive. Al servizio di dipendenti ed ospiti sono stati predisposti mezzi di trasporto elettrici (due navette per i trasporti extra-aziendali, 5 auto e 20 biciclette) e il Campus (costituito da foresteria, auditorium, polo tecnologico e ristorante) è stato realizzato secondo i più alti standard di efficienza energetica, dotato di domotica e climatizzato con pompe di calore geotermiche. A servizio del centro divulgativo si aggiungeranno 5 aule didattiche realizzate recuperando edifici storici attualmente in disuso che verranno completamente ristrutturati, trasformati in nZEB (near zero emission buildings) e collegati in rete tra loro costituendo così una microgrid. Ognuno degli edifici rappresenterà così una “cella energetica” capace di produrre, stoccare, cedere o ricevere energia dalle altre strutture connesse in funzione delle esigenze interne, gestendo i flussi energetici attraverso un software dedicato. L’azienda, che già ad oggi copre il 100 % dei fabbisogni elettrici attraverso la produzione diretta da fotovoltaico, con l’impianto di biometano (che soddisferà i consumi termici) diverrà così un vero e proprio hub autosufficiente, azzerando completamente le emissioni e riducendo al minimo gli impatti ambientali, offrendo un prodotto certificato e garantito dal seme allo scaffale 100 % ecosostenibile.
La storia di Bonifiche Ferraresi, unico gruppo europeo quotato in borsa nel settore, inizia nel lontano 1871. La società detiene 6.500 ettari distribuiti tra le province di Ferrara, Arezzo, ed Oristano. Il polo principale (oltre 4 mila ettari) è situato nel territorio di Jolanda di Savoia (FE) dove è stata avviata un’importante attività di riconversione e ammodernamento attraverso pratiche di agricoltura di precisione e di un innovativo modello energetico sostenibile.
Foreste
Il settore forestale propone esperienze interessanti che possono essere da stimolo.
Come quella, ancora in fase di realizzazione e test, della prima Fabbrica del Cippatino di tipo seriale concepita in Italia. Il progetto denominato “Cippato & Cippatino” nasce nell’ambito delle opportunità previste dai Programmi di sviluppo rurale sul tema innovazione e cooperazione. Sono coinvolti nell’iniziativa, sostenuta anche da Coldiretti Toscana, il Consorzio per la gestione delle risorse agro forestali di Villa Basilica (LU) con le proprie aziende associate e l’Università di Firenze con il Dipartimento GESAAF e lo spin-off iBioNet.
L’obiettivo principale del progetto è quello di costruire su scala locale una filiera di produzione di cippatino endogeno con caratteristiche idonee a sostituire il pellet d’importazione estera. Una delle attività principali è stata il dimensionamento e la progettazione di un prototipo innovativo di condizionamento (essiccazione e vagliatura) in grado di produrre in maniera standardizzata cippatino con elevati standard di omogeneità e qualità, tali da garantire il suo utilizzo negli impianti a pellet tal quali, senza alcuna modifica strutturale della caldaia. Questa attività si è basata sullo studio di aziende forestali che già in passato si sono cimentate nella produzione di cippatino, valorizzando le esperienze di imprese toscane che hanno già investito su tale prodotto e capitalizzando i loro risultati. Il sistema di condizionamento realizzato, produce contestualmente cippatino, cippato tradizionale di elevata qualità e altri sottoprodotti come truciolato (potenzialmente impiegabile come lettiere negli allevamenti) e segatura. Sulla base delle valutazioni tecnico-economiche, l’impianto è stato dimensionato per il condizionamento di circa 1.600 t/anno di cippatino grezzo. Il prototipo è in fase di realizzazione per le aziende del Consorzio Forestale di Villa Basilica. A seguito delle prime produzioni di cippatino è stata avviata una campagna di test di funzionamento del cippatino su caldaie tradizionalmente alimentate a pellet. I risultati ottenuti dai test hanno dimostrato il corretto funzionamento delle caldaie anche con l’utilizzo del cippatino, ciò a fronte di alcune minime modifiche nel software (es. impostazione della densità del materiale). Anche per quanto riguarda le emissioni di polveri e gas in atmosfera i risultati ottenuti non risultano peggiori rispetto alle misure ottenute con la combustione del pellet.
Il settore ittico
Anche nel settore della pesca contribuisce al cammino del Paese verso la sostenibilità. Sono 12 mila le imprese di pesca sparse su quasi 7.900 km di costa e 810 approdi. Questo settore svolge una funzione essenziale nel garantire la sussistenza e preservare il patrimonio culturale delle comunità costiere, in particolare nelle regioni in cui è presente la piccola pesca costiera che detiene un ruolo importante dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Un contributo fornito dalla capacità di ridurre al minimo gli impatti negativi di questa attività produttiva sull’ecosistema marino (8 mila micro imprese della piccola pesca artigianale sono presenti sul nostro territorio).
Nonostante solo il 17% per cento delle proteine animali a livello planetario giunga dai mari, la crescita demografica non può fare a meno della produzione ittica, sia rivolta alle risorse ottenute dalla pesca che a quelle di allevamento. La stessa Unione Europea incoraggia il consumo di proteine di pesce prodotte nell’Unione con standard di qualità elevati ed a prezzi accessibili per i consumatori.
In tale contesto anche l’acquacoltura, sia marina che d’acqua dolce, svolge un ruolo importante, così come la coltivazione di piante acquatiche per la produzione di prodotti alimentari e di altre materie prime. Lo stesso vale per gli allevamenti biologici (circa 40), nei quali viene proibito l’utilizzo di antibiotici preventivi, di sostanze chimiche e di ormoni per la riproduzione. La gestione mira soprattutto al benessere degli animali ed alla prevenzione delle malattie. Tali produzioni, anche se non ancora nel pieno delle proprie potenzialità, coinvolgono sia l’allevamento di pesci che di molluschi bivalvi.
Il confronto con i consumatori evidenzia come la tutela e la sicurezza alimentare siano un’ottima bandiera per la promozione dell’ittico, essendo un alimento che presenta un sistema di etichettatura avanzato e ricco di informazioni che dovrebbero essere sempre disponibili ai consumatori.
Le innovazioni tecnologiche in questo settore sono svariate. Per quanto riguarda la pesca sono rivolte principalmente a pratiche e tecniche di cattura a basso impatto, resilienti ai cambiamenti climatici e a basse emissioni di carbonio. In acquacoltura, invece, sono sempre più diffuse nuove tecniche a basso impatto ambientale, come i sistemi a circuito chiuso, l’acquaponica (che unisce l’allevamento di specie ittiche con la coltura di ortaggi) o la cosiddetta IMTA (acquacoltura integrata multitrofica). Nuovi sistemi di condizionamento e conservazione dei prodotti ittici poco invasivi vengono inoltre ideati per prolungare la shelf-life dei prodotti ittici sui banchi di vendita. Ne è un esempio il chitosano, sostanza naturale ed edibile, sottoprodotto naturale estraibile dal carapace dei crostacei, atossico, biodegradabile, antimicrobico e in grado di produrre pellicole elastiche per la realizzazione di veri e propri coating di rivestimento. Si possono vantare infatti eccellenze tutte italiane, quali 2 DOP (Cozza di Scardovari; Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino), 3 IGP (Trota e Salmerino del Trentino; Acciughe sotto sale del mar Ligure) e il Caviale prodotto tra Lombardia e Veneto, grazie al quale l’Italia è diventata il terzo produttore mondiale. Inoltre si possono citare come esempi le attività di diversificazione del reddito e multifunzionali, quali fattorie didattiche e street food presso le imprese ittiche o di ittiturismo e pescaturismo presso le imprese di pesca. Ne è un esempio l’Azienda ittica Alalunga di Savona che valorizza il pesce povero e a basso mercato organizzando aperitivi a bordo della propria imbarcazione: 4 giovani che hanno rilanciato il settore della pesca a Savona con il pescaturismo e gli aperitivi in barca di pesce povero. Si tratta del prodotto considerato a basso mercato, spesso persino scartato, e che loro valorizzano con la cucina a bordo. Un progetto che oggi richiama sulla banchina tantissimi clienti per un aperitivo a chilometro zero con il pesce appena pescato.
Conclusioni
I dati illustrati nel presente paragrafo evidenziano le forti potenzialità del comparto agricolo italiano per uno sviluppo sostenibile. Un settore che può fondare le proprie radici sui punti di forza che ne hanno caratterizzato l’affermazione in questi anni, tra cui, ad esempio: la valorizzazione dei prodotti Made in Italy e delle filiere produttive, la sostenibilità ambientale, la qualità delle produzioni, l’innovazione ed il contributo fornito dai giovani al settore.
Proprio su questi elementi, al fine di suppor tare le attività delle aziende agricole in un’ottica di sviluppo sostenibile, Coldiretti ha sviluppato l’APP TerraInnova Coldiretti sullo Sviluppo rurale. L’applicazione, scaricabile per dispositivi mobili Android e IOS, è rivolta ai giovani che intendono avvicinarsi al settore agricolo, alle aziende agricole che già vi operano e a tutti gli altri operatori del mondo agricolo a vario titolo interessati. L’obiettivo è quello di integrare una serie di servizi sempre a portata di mano in grado di fornire un contributo per uno sviluppo sostenibile delle aziende agricole. Per tale motivo, l’APP consente di essere sempre aggiornati sulle opportunità di finanziamento dei Programmi di sviluppo rurale della propria Regione; di monitorare i prezzi dei prodotti agricoli di proprio interesse; di simulare la validità della propria idea imprenditoriale e di essere aggiornati su meteo, news ed eventi. L’integrazione di tutti questi specifici servizi in un’unica APP per dispositivi Android ed IOS, fanno di TerraInnova la prima APP del settore agroalimentare italiano in grado di mettere a sistema vari strumenti di utilità per le aziende agricole e per tutti gli operatori agricoli a vario titolo interessati.