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di Fondazione Symbola e MASAF

Le Dolomiti rappresentano una delle più conosciute bellezze naturali del Veneto, montagne dichiarate patrimonio dell’umanità dall’UNESCO che incantano per le forme delle cime e per il colore rosa acceso di cui si tingono all’alba e al tramonto. Sull’Altopiano di Asiago, dove si combatterono le più dure battaglie della prima guerra mondiale, la meraviglia e la quiete del paesaggio contrastano con la tragicità della storia. Sulla costa, invece, oltre al Golfo di Venezia, con le tradizioni artigiane di Murano e Burano, si trova il parco del Delta del Po, la più grande zona umida italiana con un peculiare ecosistema e un’incredibile biodiversità.

Foreste e Boschi

Il Veneto è tra le regioni italiane con la minore percentuale di superfice forestale. Soltanto il 25% della regione, infatti, è coperto da boschi e foreste, ovvero 4.697 chilometri quadrati sui 18.345 totali. La maggior parte di queste zone verdi si trova nell’area più a nord del Veneto, quella Alpina. Sulle Dolomiti, tra Cortina (BL) e il confine con il Trentino-Alto Adige, fino ai 2.000 metri di quota si incontrano boschi formati prevalentemente da abeti rossi e in misura minore faggi e tassi. Sono presenti anche il pino silvestre e, nei versanti e nelle vallate più ombrose, l’abete bianco. Alle quote più alte, sopra i 2.000 metri, nella Val di Gotres e nella Val Padeon crescono invece pini cembri e larici secolari, che in alcuni casi arrivano anche a 500 anni di età. Particolarmente ricchi di boschi e foreste sono anche i 31.500 ettari del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, che a seconda dell’esposizione dei versanti, dell’altitudine e dell’orografia danno origine a faggete, lariceti e abetaie. Sulle Prealpi Bellunesi, nei comuni di Alpago e Tambre, entrambi in provincia di Belluno, e Fregona (TV), si trova invece la Foresta del Cansiglio, che circonda l’omonimo altipiano ed è formata prevalentemente da faggi. Per la sua particolare orografia, l’intera area presenta un fenomeno di inversione termica che si riflette anche nell’insolita composizione della flora alle diverse altitudini. Più in alto, dove la temperatura è più mite, crescono i faggi, mentre man mano che si scende di quota e ci si avvicina al fondo dell’altipiano le temperature diventano più rigide e insieme al faggio crescono anche l’abete bianco e l’abete rosso. Conosciuta anche come Bosco d’Alpago, la foresta è menzionata per la prima volta in un documento scritto del 923 d.C., quando Berengario I, imperatore del Sacro Romano Impero, la donò al conte-vescovo di Belluno. Nel medioevo rivestì invece un’importanza cruciale per la Repubblica di Venezia, che promulgò delle leggi per una gestione sostenibile della foresta, cui legname fu largamente impiegato per la costruzione della flotta della Serenissima. Se si esclude la parte più settentrionale della regione, quella montana, la percentuale di boschi diminuisce drasticamente. Oggi infatti, osservando la Pianura Padana, siamo abituati al paesaggio tipico dell’agricoltura intensiva. Eppure non è sempre stato così, anzi, la Pianura Padana ha costituito l’ambiente ideale per la crescita di vaste e fitte foreste. Grazie alle abbondanti precipitazioni, alla fertilità dei terreni e a una distribuzione uniforme della luce solare, un tempo la Pianura Padana era ricoperta di boschi e foreste. Dopo i disboscamenti iniziati già in epoca romana, proseguiti nel medioevo e continuati fino ai primi del ‘900, oggi di questi antichi boschi si trovano testimonianze sparse qua e là nelle piccole aree boschive che hanno resistito all’antropizzazione. Ne è un esempio il Bosco di Mestre, conosciuto anche come Bosco di Carpenedo perché il carpino è l’albero dominante dell’area, seguito da farnie, frassini e aceri campestri. Circondato dall’abitato di Mestre, il bosco aveva già subito un pesante disboscamento durante le due guerre mondiali e negli anni ’80 venne minacciato da un progetto che prevedeva la realizzazione di un nuovo ospedale. Salvato dalla comunità locale, oggi il bosco storico, insieme a quello formato dalle piantumazioni di nuovi alberi negli anni ’90, è diventato rifugio per numerosi uccelli come l’airone cenerino, la gallinella d’acqua e il gheppio.

Alberi Monumentali

Sono 256 i monumenti verdi totali della regione. Di questi, 73 si trovano all’interno di piccoli comuni. Tra gli alberi monumentali del Veneto sono presenti diverse specie rare o esotiche, come la maclura, nota anche come arancia degli Osagi dal nome della tribù di nativi americani che abitava nell’area dove cresce quest’albero, importato in Italia nella prima metà dell’800, o come il cedro dell’Atlante, pianta originaria della catena montuosa nordafricana da cui prende il nome. Tra i monumenti verdi del Veneto, uno dei più conosciuti è la sequoia gigante di Longarone, in provincia di Belluno. L’albero è sopravvissuto a una delle più grandi tragedie civili del nostro Paese, quella del Vajont del 9 ottobre del 1963, quando un’enorme frana precipitò nel bacino della diga del torrente Vajont, nel comune di Erto e Casso (PN), e generò un’onda alta centinaia di metri che tracimò e si riversò nel fondovalle, travolgendo Longarone e causando quasi 2.000 morti. L’albero, originario della Sierra Nevada, in California, ha circa 170 anni e fino agli anni ’50 era conosciuto come la sequoia più alta d’Italia, prima che un fulmine ne colpisse la cima abbassandola di qualche metro. Sul suo tronco, ad un’altezza di 5 metri, ancora oggi è possibile osservare una grossa ferita causata dal passaggio dell’onda di acqua, fango e detriti che si abbatté sul paese radendolo al suolo. Se la sequoia di Longarone ci ricorda come gli alberi siano capaci di testimoniare la storia, nel piccolo comune di Cerro Veronese (VR) un albero, in virtù della sua importanza per la comunità locale, è stato capace di plasmare la toponomastica. Il paese deve infatti il proprio nome ad un albero che è un ibrido naturale cerro-sughera. La pianta, che si trova nella piazza principale del paese, presenta le caratteristiche tipiche del cerro e della sughera nelle sue diverse parti. La corteccia, spessa e spugnosa, è quella della sughera, mentre il portamento dell’albero, dritto e slanciato, è tipico del cerro, così come la forma delle ghiande. Il fogliame, invece, è un perfetto mix tra quello delle due specie. A Pieve d’Alpago, frazione di Alpago (BL), cresce un corniolo che ha raggiunto dimensioni inusitate. Normalmente infatti il corniolo si presenta come un arbusto che si sviluppa in piccoli gruppi presso formazioni boschive e non supera i 5 o i 6 metri d’altezza, ma l’esemplare ultracentenario di Pieve d’Alpago, conosciuto come “Cornoler de Tores” nel dialetto locale, cresce isolato in un contesto rurale ed è alto 8 metri. Il legno del corniolo è noto per la sua resistenza, tanto che secondo la leggenda sarebbe stato utilizzato da Ulisse per la realizzazione del cavallo di Troia. Poco distante, nel piccolo comune di Chies d’Alpago (BL), cresce un faggio di età stimata tra i 250 e i 300 anni, che in lingua locale è noto come “Fagheron”. L’albero si trova lungo un sentiero in località Pian Formosa, è alto circa 30 metri e da sotto le sue fronde si può ammirare uno splendido panorama sulle vette circostanti.

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