Proviamo a cambiare la percezione che abbiamo di noi stessi. Quella di un Paese che deve difendere con le unghie e coi denti il proprio debito pubblico, il proprio deficit, i propri sprechi perché senza di loro saremmo alla mercé di un mercato globale che ci mangia vivi, nel quale siamo troppo piccoli e deboli per sopravvivere. Quella di un Paese che non si immagina senza un pubblico impiego che assomiglia tanto, troppo, a un parcheggio per inoccupabili. Quella di un Paese che può solo sperare di sopravvivere, perché incapace di competere, né tantomeno di plasmare a propria immagine e somiglianza l’economia globale.
Non è così. Lo ripete da anni una mente lucida e visionaria come quella di Piero Bassetti, secondo cui gli Italici, «le persone che a vario titolo, entrano in contatto con la nostra cultura, con ciò che definisce il nostro modo di vivere e che in qualche modo ne sono cambiate», sono più di trecento milioni in tutto il mondo, «una popolazione che è quasi quanto quella che abita gli Stati Uniti d’America». Lo ricordano, ogni dodici mesi, i dieci selfie di Fondazione Symbola che, per usare le parole di Ermete Realacci, presidente e fondatore di questo sodalizio che promuove le qualità italiane, sono «un promemoria, quasi un censimento, dei nostri talenti».