Ai Giochi Olimpici Invernali appena terminati in Corea l’Italia ha vinto 3 medaglie d’oro, tutte portate a casa da tre ragazze, dato fin troppo significativo per essere sottolineato. Anche se, in realtà, sono ori molto diversi tra loro. Sofia Goggia ha vinto nello sci alpino che è un settore assimilabile al made in Italy: siamo sempre tra i più bravi, non siamo i più bravi in assoluto, e ci serve sempre uno spunto individuale non essendo sempre capaci di fare sistema, come dimostra il fatto ad esempio che nello sci alpino maschile non abbiamo meritato nessuna medaglia (mentre con le ragazze siamo saliti sul podio anche con Federica Brignone ). Michela Moioli ha vinto nello snowboard, che nella nostra interpretazione è ’il mondo delle start up ancora non riconosciute, nelle loro potenzialità, dunque nemmeno conosciute. Attorno alle piste della disciplina c’era già, in Corea, il pubblico più vario, divertito e divertente, ma noi è come se avessimo voltato pagina in fretta, e la sequenza delle vittorie, prima Michela poi la sua amica Sofia, entrambe della provincia di Bergamo, ha aiutato molto nel far pesare di più l’oro del made in Italy di quello delle start up. Arianna Fontana ha vinto nello short track che possiamo abbinare all’artigianato, un sapere antico ma anche molto locale, e infatti da noi il pattinaggio veloce su ghiaccio, anzi velocissimo, ha dimora quasi esclusiva in Valtellina, non ci sono piste per altri artigiani, al punto che la nostra portabandiera ha quasi urlato: andrei all’Isola dei famosi se questo bastasse per far crescere l’attenzione per il mio sport.
Resta il fatto, comunque, che le tre medaglie d’oro al femminile fotografano anche un Paese che non può più meravigliarsi di una evidenza: la pratica femminile dello sport è in continua crescita, dunque sono sempre più importanti i valori legati allo sport femminile che ovviamente non fugge dai risultati ma li interpreta in modo diverso, con una attenzione diversa ai benefici dati dallo sport in senso collettivo e pure a livello individuale, rappresentazione di una cura della persona che pretende di misurare le performance secondo criteri oggettivi e non soggettivi, quasi che lo sport fosse una sorta di cosmesi evoluta.
L’industria se ne è accorta da un pezzo. E Tecnica, il maxigruppo che è la punta di diamante della nostra nazionale delle aziende produttrici di articoli sportivi, oggetto e soprattutto soggetto di grandi attenzioni nei mesi scorsi da parte di Carlo Pesenti, che ha comprato una quota rilevante dei sei marchi riuniti sotto un solo ombrello dalla famiglia Zanatta (Rollerblade, Lowa, Nordica, Blizzard, Tecnica e i mitici Moon Boot che nel 2017 sono stati celebrati al Moma e adesso ne diventeranno parte permanente, alla vigilia del 2019 in cui compiranno, come il passo di Neil Armstrong, 60 anni), lo ha dimostrato in modo spettacolare.
A Casa Italia, una vetrina del Paese tale che tutti hanno dato una medaglia d’oro convinta al lavoro del Coni che ha trasformato un golf club di PyeongChang nel migliore dei ristoranti italiani, non solo ottima cucina, ma anche straordinario impegno nell’accoglienza, eleganza declinata anche nella scelta dei dettagli, come ad esempio la scelta di avere divani in cui lo schienale erano giganteschi orsi di pelouche, se ne è parlato in un convegno organizzato da Assosport. In Corea vanno matti per il made in Italy, basti dire che è coreana oggi Fila, e non si sono persi un attimo dell’intervento di Arianna Colombari di Tecnica Group appunto, che prima ha presentato il gioiello di azienda per cui lavora, 365 milioni di fatturato nel 2017, per il 94% proveniente dall’export, la visione di ispirare una vita outdoor (questo è il termine in voga) il più attiva possibile, l’impegno di portare sul mercato prodotti che promettano la esperienze migliori possibili.
Poi ha presentato quello che Sofia, Michela e Arianna hanno reso evidente a tutti. Lo sport femminile è un mercato con potenzialità tali che Tecnica ha varato il progetto Women2women su scala mondiale. Ci sono nel mondo 80 milioni di persone interessate allo sci alpino? Il 42 per cento sono donne. Che sono dappertutto ovviamente: in Europa, America (compresa quella latina), Asia. Dicono, queste donne, che sporty is not masculine, che lo stile sportivo non è prerogativa dei maschi, al contrario loro hanno la stessa attenzione per le performance, senza dimenticare stile, eleganza, praticità. Tecnica ha fatto scuola anche con quella eccellenza della ricerca applicata allo sport che è il Cerism che l’Università di Verona ha realizzato a Rovereto. Risultato, prodotti dedicati: non taglie più piccole di quelle realizzate per gli uomini, non sci e scarponi di misure adattate, al contrario prodotti specificatamente pensati per il pubblico femminile. Una rivoluzione che il mercato, in realtà, ha sempre tentato, anni fa fiorirono pure in Italia i negozi Footlocker for women, e che evidentemente aveva bisogno dei tempi, e dei soggetti giusti, per essere completata.
A chi pensa Nordica? A donne tra i 25 e i 55 anni, dunque sono pure nuovi, nella loro ampiezza, i confini anagrafici del mercato. A donne che vogliono riconoscersi in una community diversa, migliore, in cui la loro passione per gli sport invernali è raccontata, come da manuale dello storytelling, come qualcosa di speciale, unico, e non solo come accettazione e condivisione di una passione del partner. A donne che vogliono dunque vedere conosciuta e ancor più riconosciuta la loro attenzione per lo sport non disgiunta da uguale considerazione per lo stile, la funzionale, la leggerezza, persino.
E nel presentare la ricerca Arianna Colombari ha tenuto a sottolineare che oggi le donne che praticano gli sport invernali sono Sofia, Michela e Arianna, non si fermano su una pista soltanto, provano ogni disciplina. E quando lo fanno vincono pure medaglie d’oro.
Luca Corsolini - Symola