Francesco La Camera, direttore generale di Irena, interverrà venerdì pomeriggio, al teatro Bibiena, nel corso del Seminario Estivo di Symbola. "Alleanze per l'energia: povertà energetica, filiere industriali, infrastrutture" i temi al centro del dibattito. La Gazzetta lo ha intervistato. A che punto siamo con la transizione energetica? In prospettiva, velocità e scala delle trasformazioni ci consentiranno di limitare il riscaldamento globale a un grado e mezzo? E in che misura il ritiro di Trump dall'accordo di Parigi minaccia di rallentare il percorso avviato? La transizione energetica globale sta avanzando, ma non ancora alla velocità e alla scala necessarie per raggiungere gli obiettivi climatici. Nel 2024, le rinnovabili hanno rappresentato oltre il 90% della nuova capacità elettrica installata a livello mondiale, il più grande incremento annuale mai registrato. Le principali economie stanno investendo in tecnologie pulite, mentre i costi delle energie rinnovabili sono crollati in modo significativo. Tuttavia, i progressi non sono omogenei: molte regioni del Global South rimangono indietro a causa di finanziamenti limitati, infrastrutture insufficienti e mancanza di politiche di sostegno. Secondo Irena, la capacità installata di rinnovabili deve triplicare entro il 2030, e l'uso dei combustibili fossili deve essere rapidamente ridotto. Per raggiungere questi obiettivi, sono necessari un impegno politico più forte, maggiori investimenti in infrastrutture e sistemi di accumulo, politiche industriali mirate e una cooperazione internazionale che garantisca una transizione giusta e inclusiva. La transizione energetica globale non si fermerà. Le rinnovabili stanno crescendo, mentre i combustibili fossili stanno rallentando. E il potenziale economico delle energie rinnovabili non è mai stato così forte. Negli Stati Uniti, ad esempio, nel 2024 si è registrata una crescita record nella nuova capacità rinnovabile, con un incremento dell'8,7% - il più alto dopo la Cina. Detto ciò, non penso che un'inversione delle politiche energetiche potrebbe ritardare i progressi della transizione energetica, non solo negli Stati Uniti ma anche a livello globale. Le nostre analisi e i nostri dati, infatti, evidenziano sempre più chiaramente che la transizione energetica è sempre più trainata da dinamiche di mercato e dalla competitività industriale - il che la rende più resiliente rispetto al passato. Lei ha spesso rimarcato che l'Africa ha il più grande potenziale di idrogeno verde al mondo e, per conformazione, l'Italia si offre come ponte naturale con l'Europa. Come tradurre questa caratteristica geografica in disegno politico? È vero, l'Africa detiene un potenziale straordinario per la produzione di idrogeno verde, grazie all'abbondanza di risorse rinnovabili - in particolare solare ed eolico - e alla disponibilità di vaste superfici di terreno. Allo stesso tempo, la posizione strategica dell'Italia nel cuore del Mediterraneo la rende un naturale punto di collegamento tra Africa ed Europa. Per trasformare questo vantaggio geografico in una strategia politica, l'Italia può rafforzare le sue partnership con i Paesi africani, posizionarsi come hub per l'idrogeno verde, sfruttare le politiche e i finanziamenti europei, promuovere la cooperazione energetica mediterranea e integrare l'idrogeno nella propria politica industriale. Una politica industriale coerente, incentrata sulle tecnologie dell'idrogeno rinnovabile - dagli elettrolizzatori alla logistica - permetterebbe all'Italia di assumere un ruolo guida non solo nelle infrastrutture, ma anche nell'innovazione e nella produzione lungo tutta la catena del valore dell'idrogeno. Come recuperare la dimensione globale in una narrazione che, anche rispetto al tema della transizione energetica, sembra declinare una visione eurocentrica? E come potrebbe concorrere la gestione delle energie rinnovabili al bilanciamento delle disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri? Per recuperare una dimensione davvero globale nella narrazione sulla transizione energetica, occorre innanzitutto riconoscere e affrontare attivamente le disparità in termini di risorse, capacità e priorità tra le diverse regioni. La narrativa attuale si concentra spesso sul cosiddetto Global North. Ma il successo della transizione dipende dall'inclusività e dalla solidarietà verso tutti i Paesi, in particolare quelli del Global South. Dobbiamo valorizzare le voci provenienti dai Paesi in via di sviluppo e integrare nei forum energetici internazionali, nei processi decisionali e nei meccanismi di finanziamento le prospettive, i bisogni e le esperienze di Africa, Asia e America Latina. Questo è essenziale per garantire soluzioni pertinenti ed eque, che non riflettano solo le esigenze e caratteristiche dei paesi del Global North. Inoltre, è fondamentale promuovere il trasferimento tecnologico, il rafforzamento delle capacità e allineare gli investimenti per la transizione energetica con gli obiettivi di sviluppo. La cooperazione e l'integrazione regionale sono strumenti chiave per affrontare le disuguaglianze strutturali. Ma per ridurre le disuguaglianze globali serve più della sola tecnologia: occorrono anche un commercio più equo, un alleggerimento del debito e politiche che rafforzino la capacità economica e politica dei Paesi più poveri di partecipare pienamente alla green economy. Una transizione energetica veramente globale e giusta richiede un cambiamento di paradigma: dal Global North ad uno fondato sulla partnership, sull'equità e sulle opportunità condivise dove le energie rinnovabili rappresentano una leva importante per colmare il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Quali conseguenze economiche e sociali potrebbe avere il fallimento della decarbonizzazione? Il fallimento della decarbonizzazione avrebbe conseguenze ambientali, economiche e sociali profonde e interconnes se, con un impatto a livello globale. Dal punto di vista economico, comporterebbe un aumento significativo dei costi legati agli impatti climatici, oltre a una perdita di produttività e di crescita. Il continuo affidamento sui combustibili fossili rischia di generare asset incagliati - investimenti in infrastrutture legate al carbone, al petrolio e al gas che potrebbero perdere valore o diventare obsolete. Questa instabilità finanziaria, unita alle preoccupazioni per la sicurezza energetica, può diffondersi sui mercati, colpendo investitori, governi e consumatori. La sicurezza energetica non può più essere definita solo in funzione delle forniture fossili. Tariffe, sanzioni e shock nelle catene di approvvigionamento hanno ridefinito il commercio energetico globale, mettendo in luce profonde vulnerabilità. Noi di frena riteniamo che la sicurezza energetica debba essere valutata anche in base alla capacità rinnovabile. Le conseguenze sociali, inoltre, potrebbero essere drammatiche, con un aggravamento delle disuguaglianze e della povertà. I cambiamenti climatici colpiscono in misura maggiore le comunità vulnerabili e marginalizzate, che dispongono di meno risorse per adattarsi o riprendersi. L'inazione non farà che accentuare le disuguaglianze esistenti, sia all'interno dei singoli Paesi che tra di essi, spingendo sempre più persone verso la povertà. In sintesi, il mancato raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione rischia di innescare una catena di shock economici e crisi sociali, rendendo le società meno resilienti e ampliando le disuguaglianze globali. Agire con decisione per la decarbonizzazione spinta dalla rinnovabili non è solo una necessità ambientale, ma è soprattutto una condizione essenziale per la stabilità economica, la salute pubblica e la coesione sociale in tutto il mondo.