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Poche cose come l’olio extravergine e l’olivo raccontano e rappresentano il nostro Paese. Perché la produzione mondiale di olio di oliva (tre milioni di tonnellate circa) si concentra nell’Unione europea, e l’Italia detiene una quota pari al 20% dell’intera produzione comunitaria. Ma anche perché gli olivi sono al centro dei paesaggi italiani più amati e fotografati. Perché l’extravergine è protagonista della dieta mediterranea e primo attore delle nostre cucine regionali e della nostra ospitalità – e, quindi, un fil rouge dietro l’Italia dell’Expo. Perché attorno alla filiera dell’olio, grazie ad un lavoro gomito a gomito tra contadini, ricercatori e imprese, fioriscono esperienze innovative anche dal punto di vista ambientale che, ad esempio, recuperando e valorizzando quelli che fino a ieri erano considerati scarti, stanno dando vita a nuove importanti opportunità.
Quella che gira attorno all’olivo, dunque, non è solo una parte importante della nostra economia rurale – siamo ai vertici della produzione di extravergine al mondo: è un pezzo della nostra identità, è uno dei nostri biglietti da visita. Non a caso le polemiche che periodicamente si riaccendono attorno all’extravergine italiano coinvolgono l’immagine dell’Italia nella sua interezza (basti ricordare, da ultimo, le vignette sul New York Times).
Per questo – e perché proprio in uno dei periodi più difficili, e pieno di rischi, per il settore è importante ragionare sul suo futuro – Inea, ora confluita nel CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) e Symbola (insieme a Coldiretti e nell’ambito del progetto relativo all’attuazione del piano olivicolo-oleario commissionato dal MIPAAF) hanno voluto dedicare alla filiera nel suo complesso, dalla terra che ospita gli olivi fino al ristorante, questa ricerca. Identificando – per la prima volta, appunto, per una intera filiera – i fattori che concorrono a produrre qualità e quelli che la compromettono; costruendo la prima banca dati dedicata al monitoraggio delle diverse fasi produttive (anche per mettere a fuoco elementi critici, come quelli che possono spingere alle frodi); e realizzando una stima della quota di valore aggiunto da ricondurre alla qualità, stimata nel 2012 pari al 39,5% del totale, con una leggera crescita rispetto alla contrazione subita nel 2009 (38,1%). Crescita che, però, alcuni indicatori (come il mancato contenimento delle spese per acqua ed energia e la contestuale riduzione dei prezzi dell’olio al consumo) non fanno ritenere come acquisita e, anzi, mettono a rischio.
Il PIQ della filiera oleicola rappresenta un primo passo “per identificare, misurare, difendere”. Il passo di un cammino che corre parallelo alla mission profonda di Expo 2015: additare al mondo il valore del modello agroalimentare italiano, le risposte della nostra agricoltura e della dieta mediterranea ai nuovi bisogni del XXI secolo. Un cammino che Symbola ed il CREA considerano strategico proseguire, sicuramente rafforzando le ricerche avviate, e, auspicabilmente, ampliandole ad altri settori dell’agroalimentare. Per fornire un contributo alla comunità scientifica e ai decisori politici, oltre che al made in Italy e ai consumatori.
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