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di Carlo Cambi

Probabilmente l’anima atavica della Campania Felix non si è mai del tutto sopita: tra la Terra di Lavoro parte dell’Irpinia, il basso Lazio ne restano le tracce dell’antica civiltà osca di quelle Mater Matute che erano le deità della fertilità resta l’opimo principato di Capua e quel soprammettersi di civiltà etrusca, romana, appunto degli Osci e poi giù verso il Cilento dei Lucani che a torto sono sempre stati considerati solo feroci guerrieri. Affacciandosi alla tomba del tuffatore a Paestum sia immediata la percezione della raffinatezza dell’arte lucana. Dire che la Campania è terra felice anche oggi nei campi e nelle sue tante articolazioni territoriali forse è un’ovvietà. In Italia forse non c’è regione che le stia a paragone per multiformità di territorio: la sola Toscana può tentare di eguagliarla da questo punto di vista dacché come la Campania ospita montagne e colline scoscese, litorali ampi e arcipelago. Il clima mitissimo della Campania di costa s’increspa di freddo e di neve verso l’alto Matese si fa gelido nel Sannio e nell’Irpinia diventa compiutamente mediterraneo dai Campi Flegrei al Cilento passando per le isole.

Una tale variabilità di suoli e di clima non poteva che produrre una ricchissima biodiversità che si traduce in una cornucopia di prodotti tutti di eccelsa qualità. A cominciare dagli oli extravergine di oliva che costituiscono una parte assai cospicua dei prodotti certificati di questa regione. Sono ben cinque e danno ragione delle diversità territoriali. Sono il Terre Aurunche che è l’olio casertano prodotto da Sessana in prevalenza, il DOP Cilento che si estrae da Pisciottana, Rotondella, Ogliarola, Frantoio, Salella e Leccino lungo la costa cilentana in luoghi d’incanto come Ascea che ricorda la scuola filosofica eleatica e offre agli ulivi monumentali (l’albero di Pisciottana è veramente maestoso) l’olimpo delle coltivazioni; il DOP Colline Salernitane da Rotondella, Frantoio, Carpellese o Nostrale in prevalenza coltivate tra la Costiera Amalfitana, la Valle del Calore, i Picentini, gli Alburni, l'Alto e Medio Sele, le colline del Tanagro e parte del Vallo di Diano; il DOP Irpina Colline dell’Ufita che si estrae da oliva Ravece in prevalenza in tutta la collina dell’avellinese la media valle del Calore e la valle dell’Ufita e infine l’extravergine DOP della penisola Sorrentina da Ogliarola e Minucciola prevalenti coltivate nell’areale compreso tra Gragnano, Pimonte, Lettere, Casola di Napoli, Sorrento, Piano di Sorrento, Meta, Sant'Agnello, Massa Lubrense, Vico Equense, Capri, Anacapri e parte di Castellamare di Stabbia. Con questi oli si può condire il ben di Dio che gli orti campani regalano, ma anche un pacchero o uno spaghetto di Gragnano, sempre per restare dalle parti della penisola sorrentina. La pasta di Gragnano si fregia della IGP a riconoscimento della peculiarità del processo produttivo ed è un caposaldo non solo economico ma della nostra tradizione gastronomica. Anche in questo caso a fare la differenza è l’acqua con cui vengono impastate le semole da grani duri coltivati ampiamente nelle vaste pianure campane.

Contrariamente a gran parte dell’agricoltura del nostro meridione, la Campania non ha conosciuto solo latifondo. Vi è una diffusa piccola proprietà agraria che ha prodotto anche lo sviluppo di piccoli centri rurali dove si è mantenuta la produzione di specialità alimentari. Va infatti rilevato che proprio per la mutevolezza del territorio la Campania è la terza regione in Italia per piccoli Comuni il che si riflette anche nella produzione agricola e agroalimentare. Giova al proposito ricordare che gran parte dell’industria agroalimentare italiana contrariamente a quanto si pensa è stabilita nel Mezzogiorno e ha dimensioni inferiori ai “colossi” di trasformazione del Nord proprio perché qui si pratica una produzione di prossimità. È il caso del provolone del Monaco, della ricotta di bufala, della produzione dei pomodori pelati, dell’allevamento e macellazione del bue bianco, come della produzione norcina da suini neri casertani, della produzione di mozzarella tradizionale e di latte fieno che sono entrati nel ristrettissimo elenco delle specialità tradizionali garantite. A dire che in Campania ci sono un’agricoltura, una trasformazione e una qualità diffuse. Ne è una prova il prodotto simbolo: la mozzarella di Bufala campana che ha due poli produttivi, il casertano (Alvignano, Presenzano) e il salernitano (Battipaglia, Pontecagnano, Ascea, Capaccio-Pestum) che si articolano in piccole comunità dove l’allevamento bufalino diventa quasi una monocoltura. Ma accanto a questi allevamenti si sviluppa un’attività foraggera in biologico che tiene fertili queste terre. Dove si raccolgono preziosissimi frutti. È il caso per esempio del pomodoro del piennolo della zona vesuviana, del San Marzano dell’agro nocerino sarnese, dalla rucola della piana del Sele, ma anche del vastissimo distretto della quarta gamma che si estende nelle campagne del salernitano. Non si può parlare di Campania dimenticando alcune assolute peculiarità come la colatura di alici di Cetara. È certamente eredità del garum dei romani, ma segnala anche che qui su questa costa come del resto nelle isole l’alice, il pesce azzurro sono caposaldo della gastronomia e vengono in mente le famosissime alici di menaica (attività purtroppo in via d’estinzione per via degli eccessivi vincoli e incomprensioni burocratiche) di Acciaroli, di Poppi, di Castellabate le capitali della dita mediterranea. Rientrano in questa piramide alimentare ortaggi come il cipollotto di Nocera (DOP), il carciofo di Paestum (IGP), l’oliva di Gaeta (in condominio col Lazio), il cavolfiore della piana del Sele, il pomodoro pelato partenopeo e frutti come il Fico bianco cilentano (estesa la coltivazione dalle parti di Ceraso), la ciliegia di Bracilliano, la mela annurca che si coltiva in tutta la media collina sia napoletana che avellinese e ancora i limoni della costa d’Amalfi e di Sorrento e altri frutti del bosco come i marroni di Serino di Roccadaspide le castagne dei boschi di Roccamonfina nell’alto casertano e di Montella nei colli avellinesi, mentre dall’alto del Cilento di montagna si sente la dolcezza della nocciola di Giffoni.

Ma se davvero si vuole essere immersi nei sapori e nei profumi non si può non pensare alla pizza napoletana che è sì un STG ma che come arte del pizzaiolo è diventata patrimonio dell’umanità. Di un’umanità felix, si spera, come la Campania.

 

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