Scrisse un tal dottor Jhonson, l’intellettuale british di passaggio che nessuno in realtà ha mai visto: “Ho studiato a lungo la geografia dell’Italia, e sono giunto alla conclusione che il fatto che nessuno ricordi il capoluogo del Molise, il piatto tipico del Molise, una canzone popolare del Molise o perfino il dialetto di questa regione, si può spiegare così: il Molise non esiste”. È stata la migliore trovata di marketing per lanciare la più recente (amministrativamente parlando) regione d’Italia, la seconda meno popolata, che conta solo su quattro città al di sopra dei 10 mila abitanti: Campobasso, Termoli, Isernia e Venafro, ma che è uno scrigno di assoluto bello dal punto di vista paesaggistico, di storia dal punto di vista del patrimonio monumentale e artistico, di straordinari sapori dal punto di vista enogastronomico. E per quanto sia stata distaccata dall’Abruzzo appena 60 anni fa esatti ha una sua peculiarità. Per saperlo bisogna camminare il Matese. Fu l’antica terra dei sanniti e bisogna affacciarsi a Pietrabbondante per vivere l’intensa eredità spirituale di questo popolo fierissimo. Lì nel sito di Calcatello che domina la valle del Trigno si riconosce l’origine remota del Molise.
Il Matese è ricchissimo di biodiversità, per questo il pascolo in questo altopiano racchiuso tra il monte Miletto a Roccamandolfi d’Isernia e il monte Maio è il paradiso della zootecnia tanto bovina – qui si allevano soprattutto Podolica e Pezzata Rossa – e quanto ovina, la razza prevalente è la sarda, ma si sta riprendendo anche l’autoctona Pagliarola, da cui gli allevatori molisani ricavano formaggi di altissima caratura gustativa. Ma la zootecnia molisana andrebbe valorizzata per l’apporto che dà alla conservazione e diffusione di alcune razze equine non autoctone nell’origine ma che stanno diventando quasi un’esclusiva di questi patri-pascolo: gli Appaloosa e soprattutto i rarissimi Akhal Teke detti i cavalli d’oro per il loro manto lucentissimo e appunto colore del sole. In particolare questi cavalli di origine turcomana hanno bisogno di erbe spontanee purissime e il Molise sembra essere in Europa il miglior pascolo, visto che in Francia dove si sono allevati sinora questi rarissimi “arabi” le aree sono limitatissime. Come le api (e il miele molisano è di qualità eccelsa), questi “cavalli celesti” sembrano essere i più severi testimonial della qualità ambientale. Che è uno dei punti di forza del Molise che esiste anche perché un piatto esclusivo ce l’ha: i fusilli. Li hanno inventati le donne del contado di Campobasso che tagliavano strisce lunghe di pasta ottenuta da acqua e semola e poi attorcigliate da condire con un sugo di carne d’agnello, pomodoro, aglio, l’eccezionale extravergine di queste parti – Larino è una delle vere capitali dell’olio in Italia – un po’ di salsiccia e nella versione più agreste erbe aromatiche che nei campi molisani abbondano. Che poi questa pasta sia uscita dalle madie contadine per farsi industria è un bene per il Molise e va sottolineato che il fusillo è al terzo posto tra i formati più consumati.
Hai voglia a dire che il Molise non esiste! È evidente che una regione dal territorio definito in piccola proporzione e caratterizzato da una polvere urbana (dacché qui ci sono solo piccoli centri) abbia poco certificato con i marchi europei. I prodotti DOP e IGP sono solo cinque e tutti “condominiali” se si eccettua l’olio extravergine Molise DOP che ottenuto in prevalenza da Aurina, Gentile di Larino, Oliva Nera di Colletorto e Leccino con la presenza anche a seconda delle zone di ridotte percentuali di Paesana Bianca, Sperone di Gallo, Olivastro e Rosciola. Le zone di elezione per la produzione di quest’ottimo extravergine sono tutte le colline del Molise a un’altitudine che in alcune zone supera anche gli 800 metri. Gli altri prodotti a marchio europeo sono i salamini cacciatore che di fatto sono una DOP nazionale, il vitellone bianco dell’Appennino centrale visto che qui si trova anche un consistente allevamento di razza marchigiana, il Caciocavallo silano e la Mozzarella di Bufala campana. E queste due ultime DOP dilatate fino al confine del Molise fanno capire come la produzione casearia di questa regione sia eccellente. Si può dire che il Molise abbia anche una sua piccola capitale del formaggio: Agnone, che è anche famosissima per le fonderie di campane, produce fiordilatte, un suo Caciocavallo e il burrino oltre alla stracciata. Spigolando tra le specialità territoriali molisane in fatto di formaggi si incontrano rarità assolute come i Pecorini del Matese e del Sannio, il Cacio in Asse e la Scamorza, il Pecorino di Capracotta e il Caprino di Montefalcone. Irripetibile è la treccia di Santa Croce di Magliano, una sorta di stola di formaggio a pasta filata intrecciato!
Una piccola capitale golosa di questa regione è senza dubbio Pietracatella aggrappata nell’alto territorio di Campobasso alla Morgia, una sorta di scheggia di pietra. Qui si produce un formaggio raro a volte con latte misto capra-pecora o vacca pecora stagionato in grotta di tufo per almeno un paio di mesi. Ed è compagno della salsiccia che a Pietracatella drogano in maniera particolare. La produzione norcina molisana è degna di massima attenzione. Dal vastese emerge anche lungo la costa dove regna il brodetto termolese la ventricina di Montenero di Bisaccia, ma tra salsiccia di fegato, capicollo, guanciale, “signora” di Conca casale che è una sorta di salame a taglia grossa fatto con le parti nobili del suino, ventricina alla paparolica di Montemitro, la Noglia che è una sorta di salsiccia di ventre di maiale comune anche all’avellinese e la Muscisca che di fatto è una coppietta di carne di pecora o di capra. Come si capisce ogni angolo del Molise produce una sua specialità che non emerge dalle certificazioni ma si è consolidato nelle secolari tradizioni. Come adesso, finalmente, il Molise si sta proponendo come una delle zone più pregiate per il tartufo: sia il magnatum pico che il nero pregiato. A dirci della purezza di questa terra.